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Marco M. G. Michelini | 18 Gennaio 2025

INTRODUZIONE

Quale poeta, quale poesia?

 

In questo “incontro” con il poeta Giacomo Leopardi viene percorso un itinerario diverso da quello segnato dalle categorie critiche dominanti, poiché – più che affrontare il discorso in ritrite spiegazioni sociologiche, patologiche o psicoanalitiche, che riducono la poesia a sintomo di un qualche cosa già saputo prima – si preferisce piuttosto capire come e da cosa nascono certe parole leopardiane e, soprattutto, come queste parole siano state pronunciate ed intese da Leopardi. Certo, l’autore non ha la capacità, né la volontà o la pretesa, di dire “tutto” su questo poeta già tanto e più a fondo indagato, o di “spiegarlo” meglio di quanto sia già stato fatto; vuole e preferisce, invece, imparare ad ascoltare prima che a definire, a porre domande prima di sovrapporre risposte.

I testi poetici sono stati spesso ridotti, specie nella didattica scolastica, alla ricostruzione tematica o, più semplicemente detto, alla trasposizione in prosa. Rimane quindi aperto un enorme interrogativo, dentro cui si rischia di perdere proprio la cosiddetta poesia: che rapporto intercorre tra poesia e prosa? Questo interrogativo è dovuto anche al fatto che, da una lettura biografica e bibliografica del Leopardi, si incontrano testi come le Operette Morali, la cui forma ed il cui periodo di composizione (per intenderci gli anni di “aridità poetica” tra il 1824 ed il 1828) negano che si tratti semplicemente dell’esplicitazione in prosa – o meglio narrativa – di un pensiero già presente nelle poesie; ed un’analoga considerazione va fatta, naturalmente, per quella “stranissima” opera (filosofica? estetica? autobiografica?) che è lo Zibaldone.

In conclusione, dunque, può la poesia leopardiana essere ridotta alla semplice trasposizione in prosa dei suoi temi? E quali sono il contenuto ed il linguaggio di questa poesia? A questa e ad altre domande, se sarà possibile, si cercherà di dare risposta nel corso delle seguenti indagini.

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