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Marco M. G. Michelini | 13 Novembre 2024

Nell’amplissima letteratura del Settecento la saggistica rappresenta senza dubbio il genere principe. Di per sé non nuovo, anzi variamente praticato – nella forma del “trattato” o del “dialogo” su temi letterari, filosofici, scientifici, storici, politici – nei secoli precedenti, secondo una tradizione che risale alla stessa cultura greco‑latina (si pensi a un Teofrasto, un Seneca, un Cicerone; e per l’età più vicina, il Seicento, a scrittori come Accetto, Boccalini, Tassoni, Tesauro), esso presenta motivi di specificità, quanto agli anni qui in causa, per un lato in circostanze quali l’indubbia rilevanza quantitativa o l’attenzione ad ambiti problematici, come ad esempio l’economia, sino allora non considerati, in genere, in modo autonomo; per altro, soprattutto, nel fatto di aver saputo esprimere in termini diretti, non mediati, un atteggiamento che si può ritenere di fondo nella coscienza intellettuale del tempo. S’intende il culto della “ragione”, e con ciò l’esigenza di sottoporre ogni spazio della realtà e dell’esistenza a una riconsiderazione e un vaglio critico quanto più lucidi e sottratti a ogni possibile “pregiudizio” (ossessione, quest’ultimo, fra le massime del secolo), e dunque di sperimentare, ricercare e dar prova, “saggio” appunto, delle indagini perseguite e dei risultati raggiunti; con ciò, ancora, la straordinaria apertura al dibattito delle idee, e la tensione a partecipare, comunicare, diffondere.

Un atteggiamento del genere (nel quale a livello di coscienza collettiva si riflette, per dire così, la decisiva dinamica storica che contraddistingue l’Europa del tempo) ha certo modo di esprimersi anche, mediatamente, nelle forme della narrativa, della memorialistica, del teatro, della stessa lirica. È però appunto il saggio, come si notava, ad assumerlo nella sua dimensione più netta e più autentica, in assoluto si potrebbe dire, e veramente la scrittura del saggio settecentesco – ora sciolta in una dizione di cattivante tolleranza ora affilata nelle punte del sarcasmo più combattivo, tesa in una sorta di fervore evangelico o limpida, fermissima nella pronuncia di una verità decisiva – ci appare la portatrice più persuasiva e accreditata di quella ch’è forse la componente più attuale, e ancora ben vitale oggi, della vicenda intellettuale di quegli anni.

Al di là di questi rilievi sembra qui utile osservare – anche per illustrare preliminarmente gli autori che ci si propone di trattare in seguito – come sia possibile ritagliare nel vasto insieme della saggistica settecentesca alcuni settori, e nell’ambito di questi individuare e seguire certi temi da cui abbia a derivare, in prospettiva, una qualche idea di taluni, almeno, fra i più significativi nuclei problematici presenti nella cultura (diciamo anzi, per più esattezza, nella cultura variamente “illuminata”) del tempo. Ovviamente, ci si rende perfettamente conto come un’operazione di questo tipo corra il rischio di condurre ad un certo appiattimento della dimensione storica: converrà quindi – di volta in volta – tener conto della specificità di ogni autore e testo, quanto a data di composizione, ambiente in cui lo scritto è maturato, particolare orientamento ideologico e anche politico dell’autore.

Sulla scorta di tali cautele riuscirà però illuminante seguire, nell’ambito ad esempio riservato a quel tipo di saggistica che potremmo opportunamente definire etico‑pedagogica, il vario svolgersi di quel discorso sul benessere e sulla felicità dell’uomo, e su ciò che sia utile o inutile a conseguirli, che di fatto percorre l’intero Settecento, trovando in genere alimento (com’è il caso di Radicati, Genovesi, Jerocades, e naturalmente Giannone) in un cristianesimo alieno da ogni dogmatismo, fortemente critico nei confronti di certa tradizione ecclesiastica, “ragionevole” ed evangelico. E se dalle pagine giuridiche di un Beccaria si delinea un discorso, ancora di estrema attualità, su quella che oggi si direbbe l’arroganza del potere, e più in genere sui limiti di azione che un qualunque potere non può non imporsi (discorso per altro centrale nella saggistica e nella pubblicistica avanzate del tempo), nella sezione dedicata all’economia potranno trovarsi sia (nei testi del moderato Carli e del meno moderato Pagano) le prospettive di ampio respiro sui grandi temi dell’ineguaglianza e della distribuzione dei beni sia (in Vasco e in Milizia) i segni di quell’attenzione minuta e rigorosa ai problemi concreti, ai bisogni più ovvi della società, che ci appare oggi, oltre le accuse di astrattezza che pure non sono mancate, fra i caratteri più notevoli e interessanti della cultura illuministica.

Immediatamente accanto alla saggistica cui si è sinora accennato (tutta in fondo caratterizzata dal fatto di convergere, per vie diverse, in un discorso diretto sulla società come struttura d’insieme e sugli individui che la costituiscono, e sui modi possibili, per questi e per quella, di procedere in direzione del “progresso” e della “felicità”) va poi tenuto ben presente nel nostro discorso il notevole esempio (Muratori) di storiografia o, come appare più esatto dire, di saggistica storica. È in effetti proprio nel Settecento che l’opera storiografica di tradizione classica e umanistico‑rinascimentale, opus oratorium maxime secondo il detto ciceroniano, lavoro da apprezzarsi non tanto per la sua apprensione di realtà quanto per la perfezione della struttura e dello stile, decisamente fa luogo alla ricerca storica intesa come strumento di penetrazione e comprensione della società, studiata nel suo passato, immediato o anche remoto, nella misura in cui quest’ultimo si ponga col presente in rapporto di analogia o di anticipazione ovvero di opposizione antitetica, ritenuta in ogni caso istruttiva (di qui il doppio volto del medioevo, visto nella sua dinamica di progresso civile, dunque secondo il vettore del presente, ma anche come luogo specifico e inquietante di barbarie e inciviltà). Eminentemente saggistica è dunque la natura profonda della storiografia del Settecento, da Giannone a Pietro Verri: discorso critico (certo affidato, e qui giocano i suoi indubbi legami con la tradizione e col genere, allo sviluppo di ampie strutture rievocative e narrative, alla rappresentazione di figure eminenti), ma critico, essenzialmente, sui problemi del presente, e non di rado puntato, in modo esplicito, su un’effettiva e immediata prassi politica.

Meno diretti e meno espliciti i rapporti che legano la saggistica estetico‑letteraria e scientifica ai dati strutturali della società settecentesca. E nondimeno, a parte il suo elevato valore di rappresentatività nell’ambito della cultura del tempo (le principali opere almeno di Gravina, Muratori, Conti, Algarotti, Lagrange costituiscono un contributo tutt’altro che marginale alla formazione dell’intelligenza europea nel Settecento), non c’è dubbio che nelle pagine e più in generale nei testi trovino voce – come, anche se in modo diverso, nei contemporanei testi di teatro, di poesia, di prosa creativa – le tensioni, le attese, le fobie, i miti, o anche più semplicemente le preoccupazioni e gli interessi, di un mondo impegnato in un complicato e tumultuoso processo di trasformazione.

Basti notare come, ad esempio, le osservazioni di Cesarotti sull’introduzione dei termini stranieri (in modo particolare francesi) nella lingua italiana sottendano il gravissimo fenomeno di crisi che quest’ultima, in quanto struttura legata a una tradizione aulica ed eminentemente letteraria, stava allora vivendo per l’emergere di nuove classi e nuovi problemi. O, per fare un altro esempio, come le esigenze allora espresse dai gruppi intellettuali borghesi di un’arte, una poesia, un teatro più aderenti alla realtà concreta, anche minuta delle cose, meglio legati alla natura, trovino una precisa rispondenza nel tema, che percorre in modo centrale la trattatistica estetica del tempo, da Muratori a Baretti, del rapporto appunto di arte e natura, di un’arte che trovi la sua fondamentale ragion d’essere nell’incontro e nel confronto con una natura raggiunta e scrutata nella sua spontanea vitalità.

A termine di questo nostro discorso non va sicuramente dimenticata la saggistica di costume, fenomeno d’imponenza tutt’altro che trascurabile e verificabile specialmente nell’ambito della stampa periodica, del giornalismo. Va notato comunque come in questo tipo di saggistica sia possibile individuare uno fra i dati salienti della società e della cultura del Settecento: vale a dire la tendenza e capacità di praticare l’esercizio della ragione attraverso i filtri di un’osservazione attenta e spesso impietosa della realtà circostante, nei modi consimili di tanta pittura veneziana o inglese del tempo. S’intende anche come tale saggistica di costume sia naturalmente idonea a offrirsi quale illuminante retroterra di certe grandi esperienze letterarie contemporanee: il teatro comico di Goldoni o di Albergati, nonché il Giorno pariniano.


La versione stampabile dell’articolo è scaricabile da qui: «Appunti di Letteratura Italiana: Il Settecento»

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