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Marco Michelini | 26 Novembre 2023

traduzione italiana di

 

MARCO M. G. MICHELINI

 

 

DIALOGO

 

PERSONAGGI: Ciril e Vivian

SCENA: la biblioteca di una casa di campagna nel Nottinghamshire

 

 

Cyril  (entrando dalla terrazza attraverso la porta a vetri aperta): Mio caro Vivian, non richiuderti tutto il giorno in biblioteca. È un pomeriggio assolutamente incantevole. L’aria è squisita. Sui boschi si stende una foschia simile alla lanugine purpurea di una prugna. Andiamo a stenderci sull’erba, fumiamo qualche sigaretta e godiamoci la Natura.

Vivian: Goderci la Natura! Sono lieto di dire che ho perduto del tutto questa capacità. Le persone ci dicono che l’Arte ci fa amare la Natura più di quanto l’amassimo prima; che ci rivela i suoi segreti; e che dopo un meticoloso studio di Corot[1] e di Constable[2] riusciamo a vedervi cose che erano sfuggite alla nostra osservazione. La mia personale esperienza, invece, è che più studiamo l’Arte, meno ci importa della Natura. Ciò che realmente l’arte ci rivela è l’assenza di progettazione della Natura, le sue curiose crudeltà, la sua straordinaria monotonia, il suo stato assolutamente incompiuto. La Natura, ovviamente, ha delle buone intenzioni, ma, come disse Aristotele, non sa concretizzarle. Quando guardo un paesaggio non posso fare a meno di scorgere tutti i suoi difetti. Comunque, è per noi una fortuna che la Natura sia talmente imperfetta, giacché altrimenti non avremmo affatto l’arte. L’Arte è la nostra vigorosa protesta, il nostro fiero tentativo di insegnare alla Natura a stare al posto suo. Per ciò che riguarda poi l’infinita varietà della Natura, quella è solo un mito. Essa non si trova nella Natura stessa. Risiede nell’immaginazione, o nella fantasia, o nella coltivata cecità dell’uomo che la osserva.

Cyril: Beh, non c’è bisogno di guardare il paesaggio. Puoi stare sdraiato sull’erba a fumare e a discorrere.

Vivian: Ma la Natura è così scomoda. L’erba è dura, piena di glebe, umida e brulica di orribili insetti neri. Perdinci, anche il più modesto artigiano di Morris sarebbe in grado di fabbricarti una sedia più comoda di quanto possa fare tutta la Natura messa insieme. La Natura impallidisce di fronte ai mobili della “strada che da Oxford prese il nome”, come disgustosamente la definì una volta il poeta che tu ami tanto. Non che voglia lamentarmi. Se la Natura fosse stata dotata di comfort, l’umanità non avrebbe mai inventato l’architettura, e io preferisco le case all’aria aperta. In una casa ci sentiamo tutti delle giuste proporzioni. Ogni cosa è subordinata a noi, plasmata per il nostro uso e il nostro piacere. Lo stesso egocentrismo, che è tanto necessario per un giusto senso della dignità umana, è interamente frutto della vita domestica. All’aperto si diventa astratti e impersonali. La nostra individualità ci abbandona del tutto. E poi la Natura è talmente indifferente, talmente impassibile. Quando passeggio nel parco qua fuori, ho sempre la sensazione di non essere per lei più del bestiame che pascola sul pendio, o della bardana che sboccia nel fossato. Nulla è più evidente del fatto che la Natura odia la Mente. Pensare è la cosa più dannosa del mondo, e la gente muore per questo proprio come muore per una qualsiasi altra malattia. Fortunatamente il pensiero, almeno in Inghilterra, non è contagioso. Come popolazione, la nostra magnifica costituzione fisica è interamente dovuta alla nostra stupidità nazionale. Spero soltanto che, per molti anni a venire, saremo in grado di mantenere intatto questo storico baluardo della nostra felicità; ma temo che stiamo iniziando ad essere troppo istruiti; chiunque sia incapace di imparare si mette ad insegnare – ecco a cosa è realmente approdato il nostro entusiasmo per l’educazione. Nel mentre, faresti meglio a tornare alla tua noiosa, scomoda Natura, lasciandomi qui a correggere le mie bozze.

Cyril: Scrivere un articolo! Non è molto coerente dopo ciò che hai appena detto.

Vivian: E chi vuole essere coerente? Gli stolti e gli intransigenti, la gente noiosa che trascina i propri principî fino all’amaro termine dell’agire, alla reductio ad absurdum della pratica. Non certo io. Come Emerson, sulla porta della mia biblioteca io scrivo la parola “Capriccio”. Per di più il mio articolo è in realtà un suggerimento salutare e prezioso. Se sarà seguito, potrebbe verificarsi una nuova Rinascita dell’Arte.

Cyril: Qual è l’argomento?

Vivian: Intendo intitolarlo “La Decadenza della Menzogna: una protesta”.

Cyril: Menzogna! Pensavo che i nostri politici  ne avessero mantenuto vivo l’uso.

Vivian: Non l’hanno mantenuto, te lo assicuro. Loro non si ergono mai al di là del livello della falsa dichiarazione, ed in effetti si accordano a dimostrare, a discutere, ad argomentare. Quanto è diverso tutto questo dal temperamento del vero bugiardo, con le sue affermazioni franche, impavide, la sua superba sconsideratezza, il suo sano, naturale disprezzo per ogni tipo di prova! In fin dei conti, che cos’è una bella bugia? Semplicemente ciò che è di per sé indubitabile. Se un uomo è sufficientemente privo d’immaginazione da produrre una prova a supporto di una menzogna, tanto vale che dica subito la verità. No, i politici non c’entrano. Si potrebbe forse dire qualcosa sul conto degli avvocati. Sulle loro spalle è caduto il mantello del sofista. I loro ardori da commedianti e la loro suggestiva retorica sono incantevoli. Possono fare apparire la peggior causa come la migliore, quasi fossero appena usciti dalle scuole Leontine, e sono noti per aver strappato a recalcitranti giurie trionfali verdetti di assoluzione per i loro clienti, persino quando questi clienti, come spesso accade, erano palesemente e irrefutabilmente innocenti. Ma sono educati dal prosaico e non provano vergogna nel fare appello al precedente. A dispetto dei loro sforzi, però, la verità viene fuori. Persino i giornali sono decaduti. Ora gli si può dare credito totalmente. Ci se ne accorge scorrendo le loro colonne. È sempre l’illeggibile che si verifica. Temo che non vi sia molto da dire a favore né dell’avvocato né del giornalista. Inoltre, io mi batto in difesa della Menzogna nell’arte. Posso leggerti ciò che ho scritto? Potrebbe giovarti molto.

Cyril: Sicuro, se mi dai una sigaretta. Grazie. A proposito, a quale rivista intendi proporlo?

Vivian: Alla “Rivista Retrospettiva”. Credevo d’averti detto che gli eletti l’hanno fatta risorgere.

Cyril: Cosa intendi dire con gli “eletti”?

Vivian: Oh, gli Edonisti Stanchi, ovviamente. È un club di cui faccio parte. Quando ci riuniamo dovremmo portare rose appassite all’occhiello, e avere una sorta di culto per Domiziano. Ho paura che tu non possa farne parte. Sei troppo preso dai piaceri semplici.

Cyril: Sarei respinto per i miei spiriti animali, suppongo?

Vivian: Può essere. E poi, sei un po’ troppo vecchio. Noi non ammettiamo alcuno che abbia la solita età.

Cyril: Immagino che vi annoierete da pazzi fra di voi.

Vivian: Eccome. È uno degli scopi dell’associazione. Ora, se prometti di non interrompermi troppo spesso, ti leggerò il mio articolo.

Cyril: Sarò attentissimo.

Vivian (leggendo con voce molto chiara e musicale): «La Decadenza della Menzogna: una protesta. – Una delle principali cause che si possono attribuire al carattere curiosamente privo di originalità della gran parte della letteratura della nostra epoca è senza dubbio la decadenza della Menzogna intesa come arte, scienza e piacere sociale. Gli storici antichi ci hanno offerto deliziose invenzioni in forma di fatti; il romanziere moderno ci regala fatti noiosi sotto le spoglie dell’invenzione. Il BlueBook[3] sta rapidamente divenendo il suo ideale sia per il metodo che per lo stile. Egli ha il suo noioso document humain, il suo meschino piccolo coin de la création, nel quale indaga con il suo microscopio. Lo si trova alla Libreria Nazionale, o al British Museum, mentre sta leggendo senza vergogna il suo soggetto. Non ha neppure il coraggio delle idee altrui, ma insiste a rincorrere direttamente la vita per ogni cosa, e alla fine, tra enciclopedie ed esperienza personale, giunge sulla terra, avendo raccolto i suoi modelli dal nucleo familiare o dalla lavandaia, e avendo ottenuto una quantità di informazioni utili dalle quali mai, persino nei suoi momenti di più alta riflessione, egli può completamente liberarsi.
«Il danno che generalmente deriva a tutta la letteratura a causa di questo falso ideale del nostro tempo ben difficilmente può essere sovrastimato. La gente parla in modo distratto di un “bugiardo nato”, così come parla di un “poeta nato”. Ma sbaglia in ambedue i casi. La menzogna e la poesia sono arti – arti, come comprese Platone, non prive di legami fra loro – e richiedono lo studio più accurato, la più disinteressata devozione. Infatti possiedono una la loro tecnica, proprio come le arti più materiali della pittura e della scultura possiedono i loro segreti sottili di forma e colore, i loro misteriosi artifizi, i loro deliberati metodi artistici. Come si riconosce il poeta per la sua musicalità elegante, così si può riconoscere il bugiardo dalla suo ricco e ritmico eloquio, e né all’uno né all’altro sarà sufficiente la casuale ispirazione del momento. Qui, come altrove, la pratica deve precedere la perfezione. Ma ai nostri giorni, mentre la moda di comporre versi è diventata troppo comune e, se possibile, dovrebbe essere scoraggiata, la moda del mentire ha quasi acquisito una pessima reputazione. Molti giovani s’affacciano alla vita con un naturale talento per l’esagerazione che, se coltivato in un ambito affine e confacente, o attraverso l’imitazione dei migliori modelli, potrebbe produrre qualcosa di veramente grande e meraviglioso. Ma, in genere, non giungono a nulla. Il giovane o cade nella negligente abitudine della precisione…»

Cyril: Amico mio!

Vivian: Per favore non interrompermi nel mezzo di una frase. «Il giovane o cade nella negligente abitudine della precisione, o si mette a frequentare persone anziane e bene informate. Ambedue le cose sono ugualmente fatali per la sua immaginazione, come lo sarebbero di sicuro per l’immaginazione di chiunque, e in breve tempo egli sviluppa un’attitudine insana e morbosa a dire la verità, comincia a controllare tutte le affermazioni fatte in sua presenza, non ha incertezze nel contraddire quelli che sono più giovani di lui, e spesso finisce per scrivere romanzi tanto simili alla vita che nessuno riesce davvero a credere alla loro probabilità. L’esempio che stiamo facendo non è un caso isolato. È soltanto un esempio preso tra molti, e se non si può fare qualcosa per frenare, o almeno per correggere, il nostro mostruoso culto dei fatti, l’Arte si inaridirà e la bellezza lascerà questa terra.
«Anche Mr. Robert Louis Stevenson[4], quello squisito maestro di prosa soave e fantastica, è contagiato da questo malcostume moderno, al quale non siamo affatto in grado di dare altro nome. Esiste la possibilità di depredare una storia della sua realtà tentando di renderla troppo vera, e La freccia nera è inartistico al punto da non contenere alcun anacronismo di cui possa gloriarsi, mentre la trasformazione del Dr. Jekyll somiglia pericolosamente ad un esperimento descritto sulle pagine del Lancet[5]. Riguardo Mr. Rider Haggard[6], che ha davvero, o aveva un tempo, la stoffa di un bugiardo davvero straordinario, attualmente ha tanta paura di venir sospettato di genialità che, quando racconta qualcosa di meraviglioso, si sente costretto ad inventare un ricordo personale e a piazzarlo in una nota a piè di pagina come una sorta di vile convalida. Nemmeno gli altri nostri romanzieri sono molto meglio. Mr. Henry James[7] scrive romanzi come se fosse un penoso dovere, e sperpera su vili motivi e su “punti di vista” impercettibili il suo brillante stile letterario, le sue frasi felici, la sua satira agile e mordace. Mr. Hall Caine[8], è vero, mira al grandioso, ma scrive ad alta voce. È così chiassoso che non si capisce quello che dice. Mr. James Payn[9] è un esperto dell’arte di occultare ciò che non vale la pena di trovare. Egli dà la caccia a cose ovvie con l’eccitazione di un investigatore miope. Quando si voltano le pagine, lo stato di tensione dell’autore diventa insopportabile. I cavalli del phaéton di Mr. William Black[10] non si innalzano verso il sole. Spaventano solamente il cielo della sera, facendo erompere violenti effetti cromolitografici. I contadini, vedendoli arrivare, si rifugiano nel dialetto. Mrs. Oliphant[11] chiacchiera gradevolmente di curati, di partite di tennis, di domestici e di altri argomenti noiosi. Mr. Marion Crawford[12] ha sacrificato se stesso sull’altare del colore locale. È come la dama nella commedia francese che continua a parlare del beau ciel d’Italie. Per di più, è sprofondato nella pessima abitudine di smerciare banali moralità. Ci dice di continuo che essere buoni è essere buoni, e che essere cattivi è essere malvagi. Alle volte è quasi edificante. Robert Elsmere[13] è naturalmente un capolavoro – un capolavoro del genre ennuyeux, la sola forma di letteratura per la quale gli inglesi sembrano provare un pieno piacere. Un nostro giovane e riflessivo amico una volta ci disse che esso gli richiamava alla mente quel tipo di conversazione che si svolge quando si beve il tè nella casa di una rispettabile famiglia non conformista, e possiamo benissimo credergli. Senza dubbio un libro simile poteva essere prodotto soltanto in Inghilterra. L’Inghilterra è la madrepatria delle idee perdute. Per ciò che riguarda la grande e quotidianamente crescente scuola di romanzieri per i quali il sole sorge perpetuamente nell’East End[14], la sola cosa che si può dire di loro è che trovano la vita nuda e la lasciano cruda.
«In Francia, quantunque non si sia realizzato nulla di altrettanto deliberatamente tedioso come Robert Elsmere, le cose non vanno granché meglio. Monsieur Guy de Maupassant, con la sua acuta e caustica ironia ed il suo stile aspro e vivido, spoglia la vita dei pochi poveri cenci che ancora la ricoprono, e ci mostra la ferita imputridita e l’immonda piaga. Lui scrive di luride piccole tragedie nelle quali ognuno è ridicolo; amare commedie delle quali non si può ridere per via delle lacrime stesse. Monsieur Zola[15], fedele al nobile principio che formula in una delle sue asserzioni sulla letteratura, L’Homme de génie n’a jamais d’esprit, appare deciso a dimostrare che, se non ha genio, riesce almeno ad essere noioso. E come ci riesce bene! Egli non è privo di potenza. Certamente delle volte, come in Germinal, c’è qualcosa di quasi epico nella sua opera. Ma la sua opera è totalmente sbagliata dall’inizio alla fine, e sbagliata non sul piano della morale, ma su quello dell’arte. Presa da qualsiasi punto di vista etico essa è esattamente quello che dovrebbe essere. L’autore è perfettamente attendibile e descrive i fatti esattamente come si verificano. Cosa può volere di più qualunque moralista? Non abbiamo proprio alcuna simpatia per l’indignazione morale del nostro tempo contro Monsieur Zola. È semplicemente l’indignazione di Tartufo che è sul punto d’essere scoperto. Ma dal punto di vista dell’arte, cosa può essere detto in favore dell’autore de L’Assommoir, Nana e Pot-Bouille? Niente. Mr. Ruskin[16] una volta disse che i personaggi dei romanzi di George Eliot[17] erano come la spazzatura di un omnibus di Pentonville, ma i personaggi di Monsieur Zola sono assai peggio. Hanno i loro tristi vizi e le loro virtù sono ancora più tristi. La cronistoria della loro vita è del tutto priva di interesse. A chi importa di ciò che accade loro? Nella letteratura noi vogliamo trovare eleganza, fascino, bellezza e potenza fantastica. Non vogliamo essere tormentati e disgustati dal resoconto delle azioni dei ceti più bassi. Monsieur Daudet[18] è migliore. Egli ha genio, un tocco lieve e uno stile divertente. Ma ultimamente ha commesso un vero suicidio letterario. A nessuno può minimamente interessare di Delobelle con il suo Il faut lutter pour l’art, o di Valmajour con il suo eterno ritornello dell’usignolo, o del poeta di Jack con i suoi mots cruel, adesso che abbiamo appreso da Vingt Ans de ma Vie littéraire che questi personaggi sono stati presi direttamente dalla vita. Ci sembra che abbiano perso all’improvviso tutta la loro vitalità, tutte le poche qualità che avevano mai posseduto. Le sole persone reali sono quelle che non sono mai esistite, e se un romanziere è sufficientemente vile da cercare nella vita i suoi personaggi, dovrebbe fingere almeno che siano creazioni e non vantarsi di loro come di copie. La giustificazione di un personaggio in un romanzo non è che altre persone siano ciò che sono, ma che l’autore è quello che è. In caso contrario il romanzo non è più un’opera d’arte. Per ciò che riguarda Monsieur Paul Bourget[19], il maestro del Roman psychologique, egli commette l’errore di immaginare che gli uomini e le donne della vita moderna possano essere analizzati all’infinito, per una serie innumerevole di capitoli. In realtà ciò che interessa delle persone della buona società – e Monsieur Bourget si sposta raramente dal Faubourg St. Germain, salvo che per venire a Londra – è la maschera che ognuna di loro porta, non la realtà che sii cela dietro la maschera. È una confessione umiliante, ma noi tutti siamo fatti della stessa stoffa. In Falstaff c’è qualcosa di Amleto, in Amleto c’è non poco di Falstaff. Il pingue cavaliere ha i suoi umori malinconici e il giovane principe i suoi momenti di arguzia volgare. Il modo in cui ci differenziamo l’un l’altro è puramente casuale: nel vestire, nelle maniere, nel tono della voce, nelle opinioni religiose, nell’aspetto personale, nelle manie dell’abitudine e cose simili. Più si analizzano le persone, più tutte le ragioni dell’analisi svaniscono. Prima o poi si giunge a quella terribile cosa universale che viene chiamata natura umana. In vero, come sa fin troppo bene chiunque abbia operato tra i poveri, la fratellanza degli uomini non è un mero sogno di poeta, è una realtà assai avvilente e umiliante; e se uno scrittore insiste nell’analisi dei ceti superiori, tanto vale che si metta a scrivere subito di fiammiferaie e di venditori ambulanti.» In ogni caso, mio caro Cyril, non ti tratterrò oltre su questo punto. Io sono pronto ad ammettere che i romanzi moderni hanno molti elementi positivi. Ciò su cui insisto è che, nell’insieme, sono del tutto illeggibili.

Cyril: Questa è certamente una valutazione assai grave, ma devo dire che ritengo tu sia piuttosto ingiusto in alcune delle tue critiche. Mi piace The Deemster, e The Daughter of Heth, e The Disciple, e Mr. Isaacs[20], e riguardo a Robert Elsmere gli sono abbastanza affezionato. Non che possa guardare ad esso come ad un’opera seria. Come enunciazione dei problemi che si pongono ad un buon Cristiano è ridicolo e antiquato. Si tratta semplicemente di Literature and Dogma di Arnold[21], con l’estromissione della letteratura. È tanto indietro sui tempi come le Evidences di Paley[22], o il criterio di esegesi biblica di Colenso[23]. Né nulla potrebbe essere di minore effetto dello sfortunato eroe che annuncia gravemente un’alba che è già spuntata da tempo, e che travisa così completamente il suo vero significato da proporre di portare avanti l’attività della vecchia ditta con il nuovo nome. D’altra parte, esso contiene diverse caricature intelligenti, e un mucchio di citazioni piacevoli, e la filosofia di Green indora gradevolmente la pillola un po’ amara della narrativa dell’autrice. Non posso anche fare a meno di esprimere la mia sorpresa per via del fatto che nulla hai detto a proposito dei due romanzieri che leggi sempre, Balzac[24] e George Meredith[25]. Sicuramente sono realisti, tutti e due, vero?

Vivian: Ah! Meredith! Chi lo può definire? Il suo stile è il caos illuminato da fulmini e saette. Come scrittore egli ha dominato tutto, ma non il linguaggio: come romanziere può fare qualsiasi cosa, fuorché narrare una storia: come artista egli è tutto, tranne che articolato. Qualcuno in Shakespeare – Touchstone[26], mi pare – parla di un uomo che si rompe continuamente gli stinchi sul proprio talento, e a me sembra che questo possa servire come punto di partenza per una critica del metodo di Meredith. Ma qualunque cosa egli sia, non è un realista. O direi piuttosto che è un figlio del realismo che ha troncato i rapporti con suo padre. Ha fatto di se stesso un romantico per scelta deliberata. Si è rifiutato di genuflettersi davanti a Baal, e dopo tutto, anche se il suo raffinato spirito non insorgesse contro le rumorose asserzioni del realismo, il suo stile, da solo, sarebbe del tutto sufficiente per mantenere la vita a debita distanza. Per mezzo del suo stile egli ha piantato attorno al giardino una siepe traboccante di spine, e rossa di magnifiche rose. Quanto a Balzac, egli fu una notevole combinazione del temperamento artistico con lo spirito scientifico. Quest’ultimo lo ha lasciato in eredità ai suoi discepoli. Il primo era completamente suo. La differenza tra un libro come L’Assommoir di M. Zola e le Illusions Perdues di Balzac rappresenta la differenza che esiste tra realismo privo di fantasia e realtà fantasiosa. «Tutti i personaggi di Balzac» disse Baudelaire, «sono dotati dello stesso ardore di vita che animò anche lui. Tutti i suoi romanzi hanno il profondo colore dei sogni. Ogni spirito pensante è un’arma carica fino alla bocca di volontà. Persino gli sguatteri hanno genio.» Una lettura costante di Balzac riduce i nostri amici viventi a ombre, e i nostri conoscenti a ombre di ombre. I suoi personaggi hanno una sorta di fervente esistenza dal colore infuocato. Essi ci dominano e sfidano lo scetticismo. Una delle più grandi tragedie della mia vita è la morte di Lucien de Rubempré[27]. È un dolore del quale non sono mai riuscito a sbarazzarmi totalmente. Mi ossessiona nei miei momenti di piacere. Mi ritorna in mente quando mi viene da ridere. Ma Balzac non è più realista di quanto lo fosse Holbein[28]. Egli ha creato la vita, non ne ha fatto una copia. Ammetto, d’altra parte, che ha attribuito un valore troppo alto alla modernità della forma, e che, per questa ragione, non uno dei suoi libri, come capolavoro artistico, poò essere paragonato a Salambò[29] o a Edmond[30], o a The Cloister and the Hearth[31], o al Vicomte de Bragelonne[32].

Cyril: Quindi tu combatti la modernità della forma?

Vivian: Sì. È un prezzo esorbitante da pagare per un risultato assai scarso. La pura modernità della forma involgarisce sempre un poco. Non può essere d’aiuto. Il pubblico immagina che, poiché si interessa di ciò che lo circonda, l’Arte dovrebbe ugualmente interessarsene, e prenderlo come suo soggetto. Ma il fatto stesso che il pubblico sia interessato a queste cose le rende soggetti inadatti all’Arte. Le uniche cose belle, come qualcuno disse una volta, sono le cose che non ci riguardano. Finché una cosa per noi è utile o necessaria, o ci riguarda in qualsiasi modo, sia per il dolore che per il piacere, o è legata fortemente alle nostre simpatie, o è una parte vitale dell’ambiente in cui viviamo, si colloca al di fuori dalla sfera propria dell’arte. Di fronte al soggetto materiale dell’arte noi dovremmo essere più o meno indifferenti. Noi non dovremmo, comunque, avere preferenze, pregiudizi, sentimenti partigiani di alcun tipo. È esattamente perché Ecuba non è niente per noi che i suoi dolori sono un motivo altamente ammirevole per una tragedia. Io non conosco nulla in tutta la storia della letteratura che possa essere più triste della carriera artistica di Charles Reade. Egli scrisse un bel libro, The Cloister and the Hearth, un libro molto migliore di Romola, così come Romola è migliore di Daniel Deronda[33], e poi sperperò il resto della sua vita nel folle tentativo di essere moderno, di attirare l’attenzione pubblica sullo stato delle nostre carceri, e sulla gestione dei nostri manicomi privati. In tutta franchezza, anche Charles Dickens[34] fu alquanto avvilente, quando provò a smuovere la nostra simpatia per le vittime dell’attuazione della legge sui poveri; ma Charles Reade, un artista, un letterato, un uomo dotato di un senso vero della bellezza, che si imbestialisce e strepita sugli abusi della vita contemporanea come un qualunque autore di pamphlet o un giornalista scandalistico, è veramente uno spettacolo da far lacrimare gli angeli. Credimi, mio caro Cyril, la modernità della forma e la modernità del soggetto sono del tutto ed interamente errate. Abbiamo scambiato erroneamente la livrea comune dell’epoca con la veste delle Muse, e trascorso i nostri giorni nelle squallide vie e negli orridi sobborghi delle nostre vili città, quando invece avremmo dovuto starcene all’aria aperta su un colle con Apollo. Certamente noi siamo una razza degradata e abbiamo venduto il nostro diritto di primogenitura per una scodella di fatti.

Cyril: C’è qualcosa di vero in ciò che dici, e non v’è dubbio che qualunque divertimento potremmo trovare nella lettura di un romanzo puramente moderno, raramente riusciremmo a trarne alcun piacere artistico nel rileggerlo. E, forse, questa è la migliore prova bruta di ciò che è la letteratura e di ciò che non lo è. Se non si trae godimento a leggere un libro più e più volte, non vale la pena di leggerlo affatto. Ma cosa ne dici del ritorno alla Vita e alla Natura? È questo il rimedio universale che oggigiorno ci viene sempre raccomandato.

Vivian: Ti leggerò ciò che dico sull’argomento. Il passo è più avanti nell’articolo, ma è meglio che te lo legga ora: «Il clamore popolare del nostro tempo è “Torniamo alla Vita e alla Natura; loro ricreeranno l’Arte per noi, e porteranno il rosso sangue a scorrere nelle sue vene; calzeranno di velocità i suoi piedi e rafforzeranno la sua mano.” Ma, ahimé! ci inganniamo nei nostri amabili e ben intenzionati sforzi. La Natura è sempre indietro rispetto ai tempi. E quanto alla Vita, essa è il solvente che disgrega l’Arte, il nemico che le saccheggia la casa.»

Cyril: Che cosa intendi dicendo che la Natura è sempre indietro rispetto ai tempi?

Vivian: Beh, il concetto forse è un po’ oscuro. Ciò che intendo è questo. Se noi prendiamo la Natura a significare il semplice istinto naturale che è opposto alla cultura autocosciente, l’opera prodotta sotto questo influsso sarà sempre fuori moda, antiquata e datata. Un pizzico di Natura può rendere uniforme il mondo, ma due pizzichi di Natura distruggeranno qualsiasi opera d’Arte. Se, d’altro canto, guardiamo alla Natura come alla collezione dei fenomeni esterni all’uomo, la gente scopre soltanto in essa ciò che le apporta. La Natura di per se stessa non suggerisce niente. Wordsworth[35] andò ai laghi, ma non fu mai un poeta lacustre. Rinvenne nelle pietre i sermoni che là aveva precedentemente nascosto. Andò a moraleggiare per il distretto, ma la sua opera migliore venne prodotta quando tornò non alla Natura, ma alla poesia. La poesia gli donò Laodamia, e i bei sonetti, e la Grande Ode, così com’è. La Natura gli donò Martha Ray e Peter Bell, e l’allocuzione alla vanga di Mr. Wilkinson.

Cyril: Ritengo che la questione potrebbe essere confutata. Io sono piuttosto incline a credere nell’«impulso che promana da un bosco primaverile», sebbene sia ovvio che il valore artistico di tale impulso dipenda interamente dal tipo di temperamento che lo riceve, così che il ritorno alla Natura verrebbe a significare semplicemente il procedere verso una grande personalità. Dovresti essere d’accordo con questo, immagino. Tuttavia, prosegui con il tuo articolo.

Vivian (legge): «L’Arte inizia con la decorazione astratta, con un’opera puramente immaginativa e dilettevole, che tratta ciò che è irreale e inesistente. Questo è la prima fase. Poi la Vita subisce il fascino di questa nuova meraviglia, e chiede di essere accolta nel cerchio incantato. L’Arte coglie la Vita come parte della suo materia prima, la ricrea e la rimodella in forme nuove, è del tutto indifferente al fatto, inventa, immagina, sogna, e mantiene fra se stessa e la realtà la barriera impenetrabile del bello stile, della trattazione decorativa o ideale. La terza fase si ha quando la vita prende il sopravvento e scaccia via l’arte nel deserto. Questa è la vera decadenza, ed è di questo che oggi noi siamo affetti.
«Prendiamo il caso del teatro inglese. In una prima fase, nelle mani dei monaci, l’Arte Drammatica fu astratta, decorativa e mitologica. Poi ingaggiò al proprio servizio la Vita, e usando alcune forme esteriori della vita stessa, creò una razza del tutto nuova di esseri, le cui sofferenze furono più terribili di qualsiasi sofferenza provata mai dall’uomo, le cui gioie furono più forti delle gioie dell’amante, che aveva la collera dei Titani e la calma degli dei, che aveva peccati mostruosi e meravigliosi, virtù mostruose e meravigliose. Donò ad essi un linguaggio diverso da quello usato abitualmente, un linguaggio pieno di musica risonante e governato da un ritmo soave, reso sontuoso dalla cadenza solenne, o reso delicato dalla rima fantasiosa, ingemmato di parole meravigliose e arricchito dalla dizione elevata. Vestì i suoi figli con strani costumi e diede loro maschere, e al suo ordine il mondo antico risorse dalla sua tomba marmorea. Un nuovo Cesare procedette maestoso per la strada di una Roma rinata, e con vela purpurea e con remi guidati dal suono dei flauti un’altra Cleopatra risalì il fiume verso Antiochia. Antichi miti e leggende e sogni presero forma e sostanza. La Storia fu interamente riscritta, e non vi fu uno solo di quei drammaturghi che non riconobbe che l’oggetto dell’Arte non è la semplice verità ma la complessa bellezza. In questo essi avevano perfettamente ragione. L’Arte, per se stessa, è realmente una forma di esagerazione; e la selezione, che è proprio lo spirito dell’arte, non è niente di più di un modo intensificato di superenfasi.
«Ma la Vita ben presto distrusse la perfezione della forma. Perfino in Shakespeare noi possiamo scorgere l’inizio della fine. Esso si mostra attraverso il graduale disperdersi del blank-verse nei suoi ultimi drammi, con la predominanza data alla prosa e con la troppa importanza attribuita alla caratterizzazione. I passi in Shakespeare – e ve ne sono molti – dove il linguaggio è ordinario, volgare, esagerato, fantastico, persino osceno, sono interamente dovuti alla Vita che reclama un’eco della sua propria voce e rifiuta l’intervento del bello stile, solo attraverso il quale si dovrebbe sopportare che la vita trovi la sua espressione. Shakespeare non è in alcun modo un artista senza pecche. Egli ama troppo andare direttamente verso la vita e prendere in prestito la naturale espressione della vita. Dimentica che quando l’Arte rinuncia al suo mezzo immaginativo, essa rinuncia a tutto. Goethe dice, in qualche parte:

In der Beschränkung zeigt sich erst der Meister,

«“È nel restare entro i limiti che il maestro si rivela”, e la limitazione, la condizione propria di ogni arte è lo stile. Comunque, non v’è necessità di soffermarsi più a lungo sul realismo di Shakespeare. The Tempest è la più perfetta delle palinodie. Tutto ciò che desideravamo sottolineare era che l’opera dei magnifici artisti elisabettiani e giacomiani conteneva in sé i semi della propria dissoluzione, e che, se riceveva un poco della propria forza dall’usare la vita come materia prima, derivava tutta la sua fiacchezza dall’usare la vita come un metodo artistico. Come risultato inevitabile di questa sostituzione di una forma di creazione con una di imitazione, di questa rinuncia ad una forma di immaginazione, noi abbiamo il moderno melodramma inglese. I personaggi in queste rappresentazioni parlano sulla scena esattamente come parlerebbero fuori di essa; non hanno né aspirazioni né aspirate[36]; sono presi direttamente dalla vita e riproducono la sua volgarità fino al più piccolo dettaglio; presentano l’andatura, i modi, gli abiti e l’accento della gente reale; passerebbero inosservati in un vagone ferroviario di terza classe. E in più, come sono tediose queste rappresentazioni! Non riescono neppure a riprodurre quell’impressione di realtà che è il loro scopo, e la loro sola ragione di esistere. Come metodo, il realismo è un fallimento completo.
«Ciò che è vero rispetto al teatro e al romanzo non è meno vero rispetto a quelle arti che noi chiamiamo arti decorative. Tutta la storia di queste arti in Europa non è altro che la cronaca della lotta tra l’Orientalismo, con il suo franco ripudio dell’imitazione, il suo amore per la convenzione artistica, il suo odio per la meticolosa rappresentazione di qualsiasi oggetto della Natura, e il nostro spirito di imitazione. Ovunque il primo è stato preponderante, come a Bisanzio, in Sicilia e in Spagna, per diretto contatto o, nel resto dell’Europa, per l’influenza delle Crociate, abbiamo avuto opere belle e immaginifiche nelle quali le cose visibili della vita sono trasfigurate in convenzioni artistiche, e le cose che la Vita non possiede sono inventate e foggiate per il suo piacere. Ma ovunque noi abbiamo fatto ritorno alla Vita e alla Natura, la nostra opera è diventata sempre volgare, banale e senza attrattiva. I moderni arazzi, con i loro effetti aerei, le loro ricercate prospettive, le loro vaste estensioni di cielo deserto, il loro realismo fedele e laborioso, non hanno affatto alcuna bellezza. I vetri dipinto della Germania sono assolutamente detestabili. In Inghilterra stiamo iniziando a tessere dei tappeti accettabili, ma solo perché siamo tornati al metodo e allo spirito dell’Oriente. Le nostre coperte e i nostri tappeti di venti anni fa, con le loro solenni e avvilenti verità, il loro inane culto per la Natura, le loro riproduzioni sordide di oggetti visibili, sono divenuti, perfino per i filistei, una fonte di ilarità. Un colto maomettano una volta ci fece osservare: “Voi cristiani siete così preoccupati di mistificare il quarto comandamento che non avete mai pensato di fare un’applicazione artistica del secondo.” Aveva perfettamente ragione e la compiuta verità della faccenda è questa: La vera scuola per imparare l’Arte non è la Vita ma l’Arte. »
E ora lascia che ti legga un passaggio che a me sembra definire la questione nel modo più completo.
«Non è stato sempre così. Non abbiamo bisogno di dire niente dei poeti, poiché loro, con l’infelice eccezione del Signor Wordsworth, sono stati veramente fedeli alla loro alta missione e ad essi si riconosce universalmente una totale inattendibilità. Ma nell’opera di Erodoto, che, a dispetto dei tentativi superficiali e ingenerosi dei moderni saputelli di verificare la sua storia, può giustamente essere definito il “Padre della Menzogna”; nei discorsi pubblicati di Cicerone e nelle biografie di Svetonio; nel miglior Tacito; nella Storia naturale di Plinio; nel Periplo di Annone[37]; in tutti i cronisti antichi; nelle Vite dei Santi; in Froissart[38] e in sir Thomas Malory[39]; nei viaggi di Marco Polo; in Olao Magno[40], e Aldovrando[41], e Corrado Licostene[42], col suo magnifico Prodigiorum et Ostentorum Chronicon; nell’autobiografia di Benvenuto Cellini e nelle memorie di Casanova; nella Storia della Peste di Defoe[43]; nella Vita di Johnson di Boswell[44]; nei dispacci di Napoleone e nelle opere del nostro Carlyle[45], la cui Rivoluzione Francese è uno dei romanzi storici più affascinanti mai scritti, i fatti o sono mantenuti nella loro appropriata posizione subordinata, o sono generalmente esclusi a causa della loro noiosità. Adesso ogni cosa è mutata. I fatti non solo stanno trovando una posizione fondamentale nella storia, ma stanno usurpando il dominio della Fantasia ed hanno occupato il regno del Romanzo. Il loro agghiacciante tocco è sopra ogni cosa. Stanno involgarendo il genere umano. Il crudo commercialismo dell’America, il suo spirito materialista, la sua indifferenza per il lato poetico delle cose, e la sua assenza di immaginazione e di ideali alti e inattingibili, sono dovuti interamente a quel paese che ha adottato come suo eroe nazionale un uomo che, secondo la sua stessa confessione, fu incapace di dire una menzogna, e non è troppo affermare che la storia di George Washington e del ciliegio[46] ha nuociuto di più, e in un minor lasso di tempo, di qualunque altro racconto morale in tutta la letteratura.»

Cyril: Mio caro amico!

Vivian: Ti assicuro che le cose stanno così, e la parte più divertente di tutta la faccenda è che la storia del ciliegio è una mera leggenda. Comunque, non devi pensare che io sia troppo sfiduciato sul futuro artistico dell’America e del nostro paese. Ascolta questo:
«Non dobbiamo nutrire alcun dubbio che qualche cambiamento avverrà prima che questo secolo sia giunto alla fine. Stufa della noiosa ed edificante conversazione di quelli che non possiedono né lo spirito per esagerare né genio per inventare, seccata dalla persona intelligente le cui reminiscenze si basano sempre sulla memoria, le cui affermazioni sono invariabilmente limitate dalla probabilità, e che è costantemente esposta al rischio d’essere corroborata dal Filisteo più puro che per caso sia presente, la Società prima o poi dovrà tornare alla suo conducente perduto, al colto e seducente mentitore. Chi fu colui che per primo, senza mai essere andato fuori a caccia grossa, raccontò, verso il tramonto, ai cavernicoli stupefatti come egli aveva trascinato il Megaterio fuori dalla purpurea oscurità del suo antro di diaspro, o ammazzato il Mammuth a duello per riportarne le sue zanne dorate, non possiamo dirlo e nessuno dei nostri moderni antropologi, malgrado tutta la loro millantata scienza, ha avuto il coraggio di dircelo. Qualunque fosse il suo nome e la sua razza, egli fu certamente il vero fondatore delle relazioni sociali. Poiché il fine di colui che mente è semplicemente incantare, deliziare, offrire il piacere. Egli è il fondamento stesso della società civile, e senza di lui un pranzo, anche nei palazzi dei grandi, è noioso tanto quanto una conferenza alla Royal Society, o un dibattito alla Società degli Autori, o una delle commedie farsesche di Mr. Burnand[47].
«Egli sarà ben accolto non solo dalla società. L’Arte, evadendo dalla prigione del realismo, correrà a salutarlo, e lo bacerà sulle sue false e belle labbra, sapendo che egli soltanto possiede il grande segreto di tutte le sue manifestazioni, il segreto che la Verità è interamente e puramente una questione di stile; mentre la Vita – la povera, incerta, scarsamente interessante vita umana – stanca di ripetere se stessa a beneficio del Signor Herbert Spencer[48], degli storici scientifici e dei compilatori di statistiche in genere, lo seguirà docilmente, e tenterà di riprodurre, nel suo modo semplice e rozzo, qualcuna delle meraviglie delle quali egli parla.
«Senza dubbio ci saranno sempre critici che, come un certo scrittore nella “Saturday Review”, censureranno gravemente il dicitore di storie fiabesche per la sua scarsa conoscenza della storia naturale, che misureranno l’opera fantastica col metro della propria mancanza di qualsiasi facoltà immaginativa, e alzeranno con orrore le loro mani sporche di inchiostro se qualche onesto gentiluomo, che non sia mai andato più lontano dei tassi del propio giardino, compone un libro di viaggi affascinante come Sir John Mandeville[49], o, come il grande Raleigh[50], scrive una storia intera del mondo, senza conoscere assolutamente nulla del passato. Per giustificarsi tenteranno di rifugiarsi sotto lo scudo di colui che creò il mago Prospero e gli diede per servi Calibano e Ariele, che udì i Tritoni soffiare nei loro corni attorno agli scogli di corallo dell’Isola Incantata e le fate cantare tra di loro in un bosco vicino ad Atene, che condusse i fantasmi dei re in fievole processione attraverso le brumose lande della Scozia, e nascose Ecate in una grotta con le bizzarre sorelle. Invocheranno Shakespeare – fanno sempre così – e citeranno quel trito passaggio, dimenticando che questo sciagurato aforisma sull’Arte che regge lo specchio alla Natura, viene deliberatamente pronunciato da Amleto allo scopo di convincere gli astanti della sua assoluta follia in ogni argomento d’arte.»

Cyril: Ahem! Un’altra sigaretta, per favore.

Vivian: Mio caro amico, qualunque cosa tu possa dire, è un’espressione meramente drammatica, e non rappresenta per nulla le reali vedute di Shakespeare sull’arte, più di quanto le battute di Iago rappresentino le sue reali vedute sulla morale. Ma lasciami finire questo passo:
«L’Arte trova la propria perfezione all’interno di se stessa, e non all’esterno di sé. Essa non deve essere giudicata attraverso una norma esterriore di somiglianza. Essa è un velo, più che uno specchio. Ha fiori che nessuna foresta conosce, uccelli che nessun bosco possiede. Fa e disfa molti mondi e può gettare la luna giù dal cielo con un filo scarlatto. Sue sono le “forme più reali dell’uomo vivente”, e suoi sono i grandi archetipi di cui le cose che hanno esistenza non sono altro che copie imperfette. Ai suoi occhi, la Natura non ha leggi né uniformità. Può fare miracoli a suo piacimento e quando invoca i mostri dal profondo questi vengono. Può far fiorire il mandorlo in inverno e far cadere la neve sul grano maturo. Alla sua parola il gelo mette il suo dito d’argento sulla bocca infuocata di giugno, e i leoni alati strisciano fuori dalle caverna dei colli Lidii. Al suo passaggio le driadi fanno capolino dal boschetto e i bruni fauni le sorridono stranamente quando a loro si avvicina. Ella ha dèi dal viso di falco che la venerano e i centauri galoppano al suo fianco.»

Cyril: Mi piace questo. Mi sembra di vederlo. È la fine?

Vivian: No. C’è ancora un passaggio, ma è puramente pratico. Suggerisce semplicemente alcuni metodi con cui noi potremmo resuscitare quest’arte perduta della Menzogna.

Cyril: Beh, prima che tu me lo legga, mi piacerebbe porti una domanda. Che cosa vuoi dire affermando che la vita, “la povera, incerta, scarsamente interessante vita umana”, tenterà di riprodurre le meraviglie dell’arte? Io posso capire abbastanza la tua obiezione al fatto che l’arte venga trattata come uno specchio. Tu pensi che ridurrebbe il genio alla condizione di uno specchio rotto. Ma non intendi affermare che credi seriamente che la Vita imita l’Arte, che la Vita in definitiva è lo specchio e l’Arte la realtà?

Vivian: Certamente. Sebbene possa sembrare un paradosso – e i paradossi sono sempre cose pericolose – non è meno vero che la Vita imiti l’arte assai più di quanto l’Arte imiti la vita. Noi tutti abbiamo visto ai nostri giorni in Inghilterra come un certo tipo singolare e affascinante di bellezza, inventato e enfatizzato da due pittori dotati di fantasia[51], abbia così influito sulla Vita che ogni qualvolta si va a un’anteprima di una mostra o a un salone artistico si vedono gli occhi mistici del sogno di Rossetti, la lunga gola eburnea, la strana mascella squadrata, gli sciolti capelli ombrosi che amò così ardentemente, la dolce verginità della Scala d’oro, la bocca simile a un fiore e la stanca avvenenza della Laus Amoris, il volto pallido per la passione di Andromeda, le mani fini e la bellezza agile della Vivian nel Sogno di Merlino. Ed è sempre stato così. Un grande artista inventa un tipo e la Vita si prova a copiarlo, a riprodurlo in una forma popolare, come un intraprendente editore. Né Holbein, né Van Dick[52] trovarono in Inghilterra ciò che ci hanno dato. Essi portarono con sé i loro tipi, e la Vita con la sua viva facoltà di imitazione si preparò a fornire dei modelli al maestro. I greci, con il loro rapido istinto artistico, compresero ciò, e mettevano nella stanza della loro sposa la statua di Ermes o di Apollo, affinché lei potesse partorire figli altrettanto belli come le opere d’arte che contemplava nella voluttà o nel dolore. Loro sapevano che la Vita prende dall’arte non soltanto la spiritualità, la profondità di pensiero e di sentimento, lo sconvolgimento o la pace dell’anima, ma che essa può plasmare se stessa sulle linee e sui colori dell’arte e può riprodurre la dignità di un Fidia come la grazia di un Prassitele. Da qui venne la loro avversione per il realismo. Essi lo osteggiarono per ragioni meramente sociali. Sentivano che, inevitabilmente, esso rende la gente brutta, e avevano assolutamente ragione. Noi proviamo a perfezionare le condizioni della razza con l’aria buona, con la luce abbondante del sole, con l’acqua pura e con orrendi nudi edifici che servono a rendere migliori gli alloggi delle classi inferiori. Ma queste cose producono soltanto la salute, non la bellezza. Per questa è richiesta l’Arte, e i veri discepoli del grande artista non sono gli imitatori che frequentano il suo studio, ma quelli che diventano come le sue opere d’arte, siano esse plastiche come ai tempi dei greci, o pittoriche come ai tempi nostri; in una parola, la Vita è la migliore, la sola alunna dell’Arte.
Com’è per le arti visibili, così è per la letteratura. La forma più ovvia e volgare in cui questo si dimostra è nel caso dei ragazzi sciocchi che, dopo la lettura delle avventure di Jack Sheppard o di Dick Turpin[53], rapinano i banchi delle malcapitate fruttivendole, irrompono di notte nelle pasticcerie, e impauriscono anziani signori che stanno tornando a casa dalla città, saltandogli addosso nei vicoli suburbani, con maschere nere e rivoltelle scariche. Questo interessante fenomeno, che si ripete sempre dopo la pubblicazione di una nuova edizione di ciascuno dei due libri cui ho alluso, viene generalmente attribuito all’influenza della letteratura sull’immaginazione. Ma questo è un errore. L’immaginazione è essenzialmente creativa e cerca di continuo una nuova forma. Il giovane ladro è semplicemente il risultato inevitabile dell’istinto imitativo della vita. Egli è il Fatto, occupato come il Fatto è di solito, con il tentativo di riprodurre la Finzione, e ciò che vediamo in lui è ripetuto su scala allargata durante tutta la vita. Schopenhauer[54] ha analizzato il pessimismo proprio del pensiero moderno, ma Amleto lo ha inventato. Il mondo è diventato triste perché un burattino una volta fu malinconico. Il Nichilista, quello strano martire che non ha fede, che va al supplizio senza entusiasmo e muore per ciò in cui non crede, è un prodotto puramente letterario. Esso fu inventato da Turgenev[55] e completato da Dostoevskij[56]. Robespierre[57] venne fuori dalle pagine di Rousseau[58] come sicuramente il Palazzo del Popolo sorse dai detriti di un romanzo. La letteratura anticipa sempre la vita. Non la copia, ma la foggia per il proprio uso. Il diciannovesimo secolo, come lo conosciamo, è in buona parte un’invenzione di Balzac. I nostri Lucien de Rubempré, i nostri Rastignac, e i De Marsay fecero la loro prima apparizione sul palcoscenico della Comédie Humaine. Noi stiamo soltanto compiendo, con note a piè di pagina e aggiunte superflue, il capriccio o la fantasia o la visione creativa di un grande romanziere. Una volta chiesi a una signora che aveva conosciuto Thackeray intimamente, se egli avesse mai avuto qualche modello per Becky Sharp[59]. Lei mi riferì che Becky era un’invenzione, ma che l’idea di quel personaggio era stata in parte ispirata ad una governante che viveva nelle vicinanze di Kensington Square, ed era la dama di compagnia di un’anziana signora egoista e ricca. Chiesi che fine avesse fatto la governante, e lei rispose che, assai stranamente, qualche anno dopo l’apparizione di Vanity Fair, ella era scappata via con il nipote della signora con cui viveva, e per un breve tempo aveva fatto un grande scalpore in società, proprio nello stile di Mrs. Rawdon Crawley e interamente secondo i metodi di Mrs. Rawdon Crawley. Per ultimo andò in rovina, scomparve sul Continente, e la si vedeva di rado a Monte Carlo e in altre località dove si pratica il gioco d’azzardo. Il nobile gentiluomo da cui lo stesso grande sentimentalista trasse il Colonnello Newcome[60] morì pochi mesi dopo che The Newcomes aveva raggiunto la quarta edizione con la parola Adsum sulle sue labbra. Poco dopo che Mr. Stevenson pubblicò la sua curiosa storia psicologica di trasformazione[61], un mio amico, di nome Mr. Hyde, si trovava nella parte nord di Londra, e avendo premura di andare alla stazione ferroviaria prese quella che riteneva essere una scorciatoia, perse la strada e si trovò in un labirinto di losche e pericolose viuzze. Sentendosi alquanto nervoso, iniziò a camminare con passo molto spedito, quando improvvisamente sbucò fuori di corsa da un vicoletto coperto un bambino, andando a finirgli proprio in mezzo alle gambe. Il bambino cadde per terra, ed egli incespicò in lui e lo calpestò. Ovviamente, essendosi spaventato e facendosi anche un po’ male, il bambino incominciò a urlare, e in pochi secondi tutta la strada si riempì di gentaglia che usciva dalle case come formiche. Lo circondarono e gli chiesero il suo nome. Lui era lì lì per dirlo, se non che, improvvisamente, si ricordò dell’episodio che dà l’incipit al racconto di Mr. Stevenson. Era talmente terrorizzato per aver realizzato nella propria persona quella scena terribile e così ben descritta, e per avere fatto in modo accidentale, seppure realmente, ciò che il Mr. Hyde della finzione aveva fatto volutamente, che scappò via il più velocemente possibile. Comunque fu inseguito assai da presso, e alla fine trovò rifugio in un ambulatorio medico, la cui porta era fortunatamente aperta, dove spiegò a un giovane assistente, che vi si trovava casualmente, cosa gli era esattamente accaduto. Tutta quella folla umanitaria fu persuasa ad andarsene dopo che lui ebbe sborsato un po’ di soldi, e non appena la strada fu libera il mio amico se ne andò. Una volta uscito, il nome inciso sulla targhetta d’ottone alla porta colpì la sua vista. Era “Jekyll”. O almeno avrebbe dovuto essere.
Qui l’imitazione, fin dove arrivò, fu naturalmente accidentale. Nel caso seguente l’imitazione fu consapevole. Nell’anno 1879, proprio dopo aver lasciato Oxford, ad un ricevimento a casa di uno dei ministri degli Esteri incontrai una donna di una bellezza esotica molto curiosa. Diventammo grandi amici e stavamo costantemente insieme. E tuttavia ciò che in lei più mi interessava non era la sua bellezza, ma il suo carattere, la sua completa vaghezza del suo carattere. Non sembrava possedere alcuna personalità, ma semplicemente la possibilità di molte tipologie. Talvolta si dedicava completamente all’arte, trasformava il suo salotto in uno studio e trascorreva due o tre giorni alla settimana in gallerie di quadri o musei. Poi si metteva a frequentare le corse dei cavalli, portando i vestiti più equestri, non parlando altro che di scommesse. Abbandonò la religione per il mesmerismo, il mesmerismo per la politica e la politica per gli stimoli melodrammatici della filantropia. Infatti, lei era una specie di Proteo e il fallimento in tutte le sue trasformazioni era uguale a quello del magnifico dio marino che fu catturato da Odisseo. Un giorno in una rivista francese ebbe inizio un romanzo a puntate. A quel io leggevo diversi romanzi d’appendice, e ricordo bene lo choc che provai per la sorpresa quando giunsi alla descrizione dell’eroina. Era così simile alla mia amica che le portai la rivista, e lei vi si riconobbe subito e parve affascinata dalla somiglianza. Dovrei dirti, a al proposito, che la storia era stata tradotta da un qualche scrittore russo deceduto, così che l’autore non poteva aver preso il suo modello dalla mia amica. Beh, per dirla in breve, dopo pochi mesi io ero a Venezia, e trovando la rivista nella sala lettura dell’hotel la presi casualmente per vedere che ne era stato dell’eroina. Era una storia assai pietosa, giacché la ragazza era fuggita con un uomo assolutamente inferiore a lei, non solo per il ceto sociale, ma pure per il carattere e l’intelletto. Scrissi alla mia amica quella sera alcune mie opinioni su Giovanni Bellini[62], sui meravigliosi gelati del Florian, e sul valore artistico delle gondole, ma aggiunsi un post scriptum per dirle che nella storia il suo alter ego si era comportata in un modo molto sciocco. Non so perché feci tale aggiunta, ma ricordo di aver avuto una sorta di terrore che lei potesse fare altrettanto. Prima che ricevesse la mia lettera, lei era scappata con un uomo che la abbandonò dopo sei mesi. La vidi a Parigi nel 1884, dove viveva con sua madre, e le chiesi se il romanzo avesse avuto niente a che fare con i suoi atti. Lei mi disse che aveva sentito un impulso assolutamente irresistibile a seguire l’eroina passo dopo passo nel suo strano e fatale incedere, e che era un sentimento di vero terrore quello con cui aveva aspettato gli ultimi pochi capitoli del romanzo. Quando questi uscirono, le parve d’essere costretta a replicarli nella vita, e così fece. Fu un esempio molto chiaro di questo istinto imitativo del quale parlavo, e un esempio estremamente tragico.
Comunque, non desidero soffermarmi oltre su esempi individuali. L’esperienza personale è un circolo assai vizioso e limitato. Tutto ciò che io desidero puntualizzare è il principio generale che la Vita imita l’Arte molto di più di quanto l’Arte imiti la Vita, e sono certo che se tu ci penserai seriamente, troverai che è vero. La Vita regge lo specchio all’Arte, e, o riproduce qualche strano tipo immaginato da un pittore o da uno scultore, o realizza di fatto ciò che era stato sognato nella finzione. Parlando scientificamente, la base della vita – l’energia della vita, come la chiamerebbe Aristotele – è semplicemente il desiderio di espressione, e l’Arte presenta sempre varie forme attraverso le quali l’espressione può essere ottenuta. La Vita se ne impadronisce e le usa, perfino se vanno a suo danno. Dei giovani si sono suicidati giacché lo fece Rolla, sono morti di propria mano perché di propria mano era morto Werther. Pensa a ciò che dobbiamo all’imitazione di Cristo, a ciò che dobbiamo all’imitazione di Cesare.

Cyril: La teoria è certamente molto curiosa, ma per essere completa devi mostrare che la Natura, non meno della Vita, è un’imitazione dell’Arte. Sei pronto a dimostrarlo?

Vivian: Mio caro amico, io sono pronto a dimostrare qualunque cosa.

Cyril: Allora, la Natura segue il paesaggista e da lui coglie i suoi effetti.

Vivian: Certamente. Da chi, se non dagli impressionisti, noi abbiamo preso quelle meravigliose nebbie brune che scendono sulle nostre strade, oscurando i lampioni a gas e trasformando le case in ombre mostruose? A chi, se non a loro e ai loro maestri, noi siamo debitori delle amabili argentee brume che giacciono sul nostro fiume, e mutano in vaghe forme di grazia evanescente il ponte curvo e la chiatta oscillante? Il cambiamento straordinario che si è avuto nel clima di Londra durante gli ultimi dieci anni è interamente dovuto a una particolare scuola d’arte. Tu sorridi. Considera l’argomento da un punto di vista scientifico o metafisico e vedrai che ho ragione. Perché che cos’è la Natura? La Natura non è una grande madre che ci ha partoriti. È la nostra creazione. È nel nostro cervello che prende vita. Le cose esistono perché noi le vediamo e ciò che vediamo, e come lo vediamo, dipende dalle Arti che ci hanno influenzati. Guardare una cosa è assai diverso dal vederla. Non si vede alcunché finché non se ne è vista la bellezza. Allora, e solo allora, la cosa inizia ad esistere. Oggidì la gente vede le nebbie, non perché ci siano le nebbie, ma perché i poeti e i pittori hanno insegnato la misteriosa bellezza di tali effetti. Probabilmente ci sono state nebbie per secoli a Londra. Oso dire che ci furono. Ma nessuno le vide e così non ne sappiamo nulla. Non sono esistite finché l’Arte non le ha inventate. Adesso, bisogna ammetterlo, con le nebbie si sta esagerando. Sono diventate il mero manierismo di una cricca, e il realismo eccessivo del loro metodo fa venire la bronchite alla gente stupida. Dove una persona colta coglie un effetto, la persona incolta si prende un raffreddore. E allora siamo umani, e invitiamo l’Arte a volgere altrove il suo sguardo meraviglioso. Lei lo ha già fatto, veramente. Quella bianca vibrante luce solare che si vede ora in Francia, con le sue strane macchie color malva e le sue irrequiete ombre violette, è l’ultima fantasia dell’Arte, e, nel complesso, la Natura la riproduce assai mirabilmente. Là dove essa era usa darci dei Corot e dei Daubigny[63], adesso ci dà degli squisiti Monet[64] e degli incantevoli Pissarro[65]. Certamente vi sono momenti – rari, è vero, ma che è ancora possibile notare di volta in volta – in cui la Natura diventa assolutamente moderna. Naturalmente non si può sempre fare affidamento su di lei. Il fatto è che lei si trova in una posizione infausta. L’Arte crea un effetto unico e incomparabile, dopodiché, avendo compiuto questo, passa ad altro. La Natura, d’altro canto, scordando che l’imitazione può divenire la forma più sincera di insulto, continua a ripetere questo effetto sino a che noi tutti non ne diventiamo completamente stufi. Nessuno che sia veramente colto, ad esempio, parla ormai della bellezza di un tramonto. I tramonti sono completamente fuori moda. Appartengono al tempo in cui Turner era l’ultima nota nell’arte. Ammirarli è il segno manifesto di un temperamento provinciale. D’altronde, questi vanno avanti. Ieri sera Mrs. Arundel insisteva perché andassi alla finestra e guardassi il cielo glorioso, come lei l’ha definito. Ovviamente ho dovuto guardarlo. Lei è una di quelle filistee assurde e graziose alla quale nulla si può negare. E che cos’era? Era semplicemente un Turner molto di seconda mano, un Turner di un brutto periodo, con tutte le peggiori pecche del pittore esagerate ed enfatizzate oltremodo. Naturalmente, sono prontissimo ad ammettere che la Vita molto spesso commette lo stesso errore. Produce i suoi falsi René[66] e i suoi falsi Vautrin[67], così come ce li dà la Natura, un giorno un Cuyp[68] dubbio, e un altro giorno un Rousseau più che discutibile. Ancora, la Natura irrita di più quando fa questo genere di cose. Sembra così stupida, così ovvia, così inutile. Un falso Vautrin può essere delizioso. Un dubbio Cuyp è insopportabile. Comunque, non voglio essere troppo duro con la Natura. Mi auguro che la Manica, specie a Hastings, non somigli così spesso a un Henry Moore[69], grigio perla con luci gialle, ma d’altronde, quando l’Arte sarà più varia, la Natura, senza dubbio, sarà anch’essa più varia. Che essa imiti l’Arte non credo che neppure il suo peggior nemico verrebbe ora a negarlo. È l’unica cosa che la mantiene a contatto con l’uomo civile. Ma ho dimostrato la mia teoria con tua soddisfazione?

Cyril: L’hai dimostrata con mia insoddisfazione, il che è meglio. Ma pure ammettendo questo singolare istinto imitativo nella Vita e nella Natura, sicuramente tu dovrai riconoscere che l’Arte esprime il temperamento della sua epoca, lo spirito del suo tempo, le condizioni morali e sociali che la circondano e sotto la cui influenza essa è prodotta.

Vivian: Certo che no! L’Arte non esprime altro che se stessa. Questo è il principio della mia nuova estetica; ed è questo, più di quel vitale collegamento tra forma e sostanza, su cui insiste Mr. Pater[70], che rende la musica il tipo di tutte le arti. Naturalmente, nazioni e individui, con quella salutare vanità naturale che è il segreto dell’esistenza, si illudono sempre che è di loro che le Muse stanno parlando, sforzandosi perennemente di reperire nella calma dignità dell’arte immaginativa qualche specchio delle loro torbide passioni, dimenticando sempre che non è Apollo il cantore della vita, ma Marsia. Lontana dalla realtà, e con i suoi occhi distratti dalle ombre della caverna, l’Arte rivela la sua intima perfezione, e la folla stupita, che contempla il dischiudersi della meravigliosa rosa folta di petali, si immagina che sia la propria storia ad esserle narrata, che il proprio spirito stia trovando espressione in una nuova forma. Ma non è così. L’arte più alta rigetta il fardello dello spirito umano, e ottiene di più da un nuovo mezzo o da un materiale vergine, che non da qualunque entusiasmo per l’arte, o da qualunque nobile passione, o da qualunque grande risveglio della coscienza umana. Essa si sviluppa esclusivamente secondo le proprie linee. Non rappresenta alcuna epoca. Sono le epoche ad essere i suoi simboli.
Persino quelli che sostengono che l’Arte sia rappresentativa del tempo, del luogo e della gente non possono fare a meno di ammettere che più un’arte è imitativa, meno ci rappresenta lo spirito della sua epoca. I volti malvagi degli imperatori di Roma ci guardano dal porfido disgustoso e dal macchiato diaspro in cui gli artisti realisti dell’epoca si dilettavano a lavorare, e noi pensiamo di poter rinvenire in quelle labbra crudeli e in quelle mascelle pesanti e sensuali il segreto della rovina dell’Impero. Ma non fu così. I vizi di Tiberio non poterono distruggere quell’altissima civiltà, più di quanto le virtù degli Antonini potessero salvarla. Essa cadde per altri motivi meno interessanti. Le sibille e i profeti della Cappella Sistina possono certamente servire a interpretare per qualcuno quel risorgere dello spirito emancipato che noi chiamiamo Rinascimento; ma cosa ci dicono i villani ubriachi e i contadini rissosi dell’arte olandese sulla grande anima dell’Olanda? Quanto più un’Arte è astratta e ideale, tanto più ci rivela il temperamento della sua epoca. Se desideriamo capire una nazione attraverso la sua arte, guardiamo la sua architettura e la sua musica.

Cyril: In questo caso sono pienamente d’accordo con te. Lo spirito di un’epoca può essere espresso in maniera migliore nelle arti astratte e ideali, poiché lo spirito in se stesso è astratto e ideale. D’altro canto, per l’aspetto visibile di un’epoca, per la sua espressività, come si suol dire, dobbiamo naturalmente ricorrere alle arti imitative.

Vivian: Non la penso così. Dopo tutto, cioò che realmente le arti imitative ci danno sono soltanto i vari stili di artisti particolari, o di certe scuole di artisti. Di sicuro tu non immagini che la gente del Medio Evo avesse qualche somiglianza con le figure sulle vetrate medievali, o sulle sculture medievali in pietra e legno, o sulle opere metalliche medievali, o sugli arazzi, o sui manoscritti miniati. Probabilmente erano persone dall’aspetto molto comune, senza nulla di grottesco, di straordinario, di fantastico nella loro sembianza. Il Medio Evo, come lo conosciamo noi nell’arte, è semplicemente una definita forma di stile, non c’è proprio alcuna ragione perché un artista con questo stile non possa nascere nel diciannovesimo secolo. Nessun grande artista vede mai le cose come sono nella realtà. Se lo facesse, cesserebbe di essere un artista. Prendi un esempio dai nostri giorni. So che tu sei un amante di cose giapponesi. Orbene, davvero immagini che il popolo giapponese, così come ce lo presenta l’arte, esista? Se lo immagini, non hai mai compreso assolutamente l’arte giapponese. Il popolo giapponese è la creazione deliberata e autoconsapevole di alcuni singoli artisti. Se tu poni un quadro di Hokusai, o Hokkei, o di un altro qualsiasi dei grandi pittori locali, vicino ad un vero gentiluomo o ad una vera dama giapponese, vedrai che non c’è la benché minima somiglianza tra loro. Le persone reali che vivono in Giappone non sono generalmente diverse rispetto alle persone inglesi; vale a dire, che sono estremamente comuni e non hanno niente di curioso e di straordinario in loro. Infatti l’intero Giappone è una mera invenzione. Non esiste un tale paese, non esiste un tal popolo. Uno dei nostri pittori più incantevoli è andato recentemente nella Terra dei Crisantemi con la folle speranza di vedere i giapponesi. Tutto ciò che ha visto, tutto ciò che ha avuto la fortuna di dipingere, sono state poche lanterne e alcuni ventagli. Egli è stato del tutto incapace di scoprire gli abitanti, come la deliziosa esposizione dei suoi lavori alla galleria dei signori Dowdeswell ci ha mostrato benissimo. Non sapeva che il popolo giapponese, come ho detto, è semplicemente una pura maniera stilistica, una fantasia artistica squisita. E quindi, se desideri vedere un effetto giapponese, non dovrai comportarti come un turista e andare a Tokio. Al contrario, te ne starai a casa e ti immergerai nell’opera di certi artisti giapponesi, e poi, quando avrai assorbito lo spirito del loro stile, e colto la maniera immaginifica della loro visione, andrai un pomeriggio a sedere nel Parco o a fare una passeggiata a Piccadilly, e se là non riuscirai a vedere un effetto assolutamente giapponese, non lo vedrai da nessun’altra parte. Oppure, per tornare di nuovo al passato, prendi come ulteriore esempio gli antichi greci. Credi che l’arte greca ci dica mai com’era la gente greca? Ritieni che le donne ateniesi fossero come le figure maestose e nobili del fregio del Partenone, o come quelle meravigliose dèe che sedevano nei timpani triangolari dello stesso edificio? Se giudichi dall’arte, erano certamente così. Ma leggi un’autorità come Aristofane, ad esempio. Scoprirai che le dame ateniesi si allacciavano strette in vita, portavano scarpe col tacco alto, si tingevano di giallo i capelli, si truccavano e si davano il rossetto, ed erano esattamente come qualsiasi stupida creatura alla moda o decduta della nostra epoca. Il fatto è che noi guardiamo indietro alle epoche passate unicamente per mezzo dell’arte, e l’arte, per fortuna, non ci ha mai detto una sola volta la verità.

Cyril: Ma i moderni ritratti dei pittori inglesi? Sicuramente sono come le persone che pretendono di rappresentare?

Vivian: Proprio così. Sono a tal punto somiglianti che tra cento anni nessuno crederà loro. Gli unici ritratti nei quali uno crede sono quelli dove c’è pochissimo del modello e moltissimo dell’artista. I disegni di Holbein degli uomini e delle donne del suo tempo ci impressionano per il senso della loro assoluta realtà. Ma ciò semplicemente accade perché Holbein costrinse la vita ad accettare le sue condizioni, a trattenersi entro le proprie limitazioni, a riprodurre il suo tipo e ad apparire come egli desiderò che apparisse. È lo stile che ci fa credere in una cosa – nient’altro che lo stile. La maggior parte dei nostri moderni ritrattisti è condannata all’oblio assoluto. Essi non dipingono mai ciò che vedono. Dipingono quello che vede il pubblico, e il pubblico non vede mai niente.

Cyril: Bene, dopo ciò credo che mi piacerebbe ascoltare come finisce il tuo articolo.

Vivian: Con piacere. Sinceramente non posso dire se servirà a qualcosa. Il nostro è di sicuro il secolo più noioso e prosaico possibile. Perché, perfino il Sonno ci ha ingannati: ha chiuso i cancelli d’avorio e aperto quelli di corno. I sogni delle grandi classi medie del nostro paese, come sono raccolti nei due grossi volumi sull’argomento di Mr. Meyers[71] e negli Atti della Society for Psychical Research, sono le cose più avvilenti che io abbia letto. Tra loro non c’è neppure un bell’incubo. Sono comuni, sordidi e tediosi. Per quanto riguarda la chiesa, non so concepire niente di meglio per la cultura di un paese della presenza in esso di una corporazione di uomini il cui dovere sia di credere nel sovrannaturale, di fare quotidianamente dei miracoli, e di mantenere viva quella facoltà mitopoietica che è così essenziale per l’immaginazione. Ma nella chiesa inglese un uomo ha successo, non per la sua capacità di credere, ma per la sua capacità di non credere. La nostra è la sola chiesa dove lo scettico sale all’altare e dove San Tommaso viene considerato l’apostolo ideale. Molti degni ecclesiastici, che spendono la loro vita in ammirevoli opere di premurosa carità, vivono e muoiono inosservati e sconosciuti; ma è sufficiente che qualche passante superficiale e ignorante di una delle due Università si alzi sul suo pulpito ed esprima i suoi dubbi sull’arca di Noè, o sull’asino di Balaam, o su Giona e la balena, perché mezza Londra si raduni per ascoltarlo, e sieda a bocca aperta in rapita ammirazione per il suo superbo intelletto. Lo sviluppo del senso comune nella chiesa inglese è una cosa davvero degna di rammarico. È una concessione veramente degradante ad una bassa forma di realismo. Ed è pure sciocca. Nasce da una totale ignoranza della psicologia. L’uomo può credere all’impossibile, ma non può mai credere all’improbabile. Comunque, debbo leggere la fine del mio articolo:
«Ciò che dobbiamo fare, ciò che è in ogni caso nostro dovere fare, è far rivivere questa antica arte della Menzogna. Molto, senza dubbio, può essere fatto, per educare il pubblico, da parte dei dilettanti nella cerchia domestica, ai pranzi letterari e ai tè pomeridiani. Ma questo non è altro che il lato leggero e grazioso della menzogna, quale probabilmente si udiva durante le cene cretesi. Vi sono molte altre forme. Mentire per ottenere qualche vantaggio personale immediato, ad esempio – mentire con uno scopo morale, come viene comunemente chiamato – anche se negli ultimi tempi è stato piuttosto disprezzato, era estremamente popolare nel mondo antico. Atena ride quando Odisseo le racconta “le sue parole di astuta invenzione”, come dice il signor William Morris[72], e la gloria della menzogna illumina la fronte pallida dell’eroe senza macchia della tragedia di Euripide, e pone tra le nobili donne del passato la giovane sposa di una delle più squisite odi di Orazio. Più tardi, ciò che prima era stato un puro istinto naturale fu elevato a scienza consapevole. Regole elaborate furono imposte per la guida dell’umanità e attorno a tale materia crebbe un’importante scuola di letteratura. In verità, quando si ricorda l’ottimo trattato filosofico di Sanchez[73] sull’intero argomento, non si può fare a meno di rammaricarsi che nessuno abbia mai pensato a pubblicare un’edizione economica e sintetizzata delle opere di quel grande casuista. Un manuale semplice e conciso, Come e quando mentire, se fosse pubblicato in una forma allettante e non troppo cara, senza dubbio si sarebbe venduto un assai bene e si sarebbe rivelato di reale utilità pratica per molte persone serie e intelligenti. Mentire per lo sviluppo della gioventù, che è la base dell’educazione domestica, permane ancora fra noi, e i suoi vantaggi sono così mirabilmente esposti nei primi libri della Repubblica di Platone che non è per nulla necessario soffermarcisi qui. È una sorta di menzogna per cui tutte le brave madri hanno capacità peculiari, ma potrebbe essere suscettibile di sviluppi ulteriori, ed è stata purtroppo miseramente trascurata dal Consiglio scolastico. Mentire per uno stipendio mensile è, ovviamente, ben noto a Fleet Street, e la professione di fondista di un leader politico non è priva di vantaggi. Ma si dice che sia un’occupazione alquanto deprimente e di certo non conduce molto più in là di una specie d’ostentata oscurità. L’unica forma di menzogna assolutamente irreprensibile è la menzogna fine a se stessa, e la sua più alta espressione è, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, la Menzogna nell’Arte. Proprio come quelli che non amano Platone più della Verità non possono varcare la soglia dell’Accademia, così quelli che non amano la Bellezza più della Verità non conoscono mai il tempio recondito dell’Arte. Il solido e stolido intelletto britannico giace nelle sabbie del deserto come la Sfinge nel meraviglioso racconto di Flaubert, e la fantasia, La Chimère, danza attorno ad essa e la chiama con la sua falsa e flautata voce. Può darsi che adesso non la senta, ma sicuramente un giorno, quando saremo tutti annoiati a morte dal carattere banale della letteratura moderna, le darà ascolto e cercherà di prendere in prestito le sue ali.
«E quando sorgerà l’alba di quel giorno, o rosseggerà il suo crepuscolo, come saremo tutti pieni di gioia! I fatti saranno considerati spregevoli, la Verità sarà trovata in lacrime sulle sue catene, e il Romanticismo, con il suo temperamento di meraviglia, tornerà sulla terra. L’aspetto stesso del mondo cambierà davanti ai nostri occhi sbigottiti. Dal mare emergeranno Behemoth e Leviathan e navigheranno intorno alle galee dalle alte poppe, come fanno nelle deliziose carte geografiche di quei tempi in cui i libri di geografia erano effettivamente leggibili. I draghi vagheranno nelle vaste distese desolate e la fenice spiccherà il volo nell’aria dal suo nido di fuoco. Sul basilisco poseremo le nostre mani e vedremo la gemma sul capo del rospo. L’Ippogrifo starà nelle nostre stalle ruminando la sua avena dorata, e sulle nostre teste si librerà l’Uccello Azzurro cantando cose belle e impossibili, cose belle che non avvengono mai, cose che non esistono e che dovrebbero esistere. Ma prima che tutto questo succeda noi dobbiamo coltivare l’arte perduta della Menzogna.»

Cyril: Allora dobbiamo coltivarla immediatamente. Ma per evitare di commettere errori voglio che tu mi descriva brevemente le dottrine della nuova estetica.

Vivian: Brevemente, allora, eccole. L’Arte non esprime mai niente altro che se stessa. Ha una vita indipendente, proprio come ce l’ha il Pensiero, e si sviluppa puramente seguendo le sue proprie linee. Non è in modo necessario realistica in un’epoca di realismo, né spirituale in un’epoca di fede. Lungi dall’essere la creazione del suo tempo, di solito è in diretta opposizione ad esso, e l’unica storia che conserva per noi è la storia del suo progresso. Talvolta ritorna sulle sue orme e fa rivivere qualche forma antica, come è successo nel movimento arcaistico della tarda arte greca e nel movimento preraffaellita dei nostri giorni. In altri momenti anticipa completamente la sua epoca, e produce in un secolo opere che occorre un altro secolo per capire, per apprezzare e per godere. In nessun caso riproduce il proprio tempo. Passare dall’arte di un periodo al periodo stesso è il grande errore che commettono tutti gli storici.
La seconda dottrina è questa. Tutta l’arte cattiva viene da un ritorno alla Vita e alla Natura e dall’elevarle a ideali. La vita e la natura possono talvolta essere utilizzate come parte della materia grezza dell’arte, ma prima che possano essere di alcuna reale utilità per l’Arte debbono essere tradotte in convenzioni artistiche. Nel momento in cui l’Arte cede il suo mezzo immaginativo cede tutto. Come metodo il Realismo è un completo fallimento, e le due cose che ogni artista dovrebbe evitare sono la modernità della forma e la modernità del soggetto. Per noi, che viviamo nel diciannovesimo secolo, ogni secolo è un soggetto adatto per l’arte, eccetto il nostro. Le uniche cose belle sono quelle che non ci riguardano. È, per avere il piacere di citarmi, proprio perché Ecuba non è niente per noi che i suoi dolori sono un motivo così adatto per una tragedia. Del resto, è soltanto il moderno che diventa sempre antiquato. Il signor Zola si mette a sedere per darci un quadro del Secondo Impero. Chi si preoccupa oggi del Secondo Impero? È obsoleto. La Vita va più veloce del Realismo, ma il Romanticismo la precede sempre.
La terza dottrina è che la Vita imita l’Arte assai più di quanto l’Arte imiti la Vita. Ciò Dipende non soltanto dall’istinto imitativo della Vita, ma dal fatto che lo scopo autoconsapevole della Vita è trovare espressione, e che l’Arte le offre certe belle forme attraverso le quali essa può realizzare quell’energia. È una teoria che non era mai stata proposta fino a oggi, ma è estremamente fertile e getta una luce del tutto nuova sulla storia dell’Arte. Ne consegue, come corollario, che anche la Natura esterna imita l’Arte. Ma gli unici effetti che lei può mostrarci sono effetti che noi abbiamo già visto tramite la poesia, o nella pittura. Questo è il segreto del fascino della Natura, nonché la spiegazione della debolezza della Natura.
La rivelazione finale è che la Menzogna, il raccontare belle cose non vere, è lo scopo peculiare dell’Arte. Ma di questo penso di aver già parlato sufficientemente a lungo. E adesso andiamo fuori sulla terrazza, dove “il pavone bianco latte si abbassa come un fantasma”, mentre la stella della sera “bagna d’argento il crepuscolo”. Al calare del sole la natura diviene di un effetto mirabilmente suggestivo, e non è senza leggiadria, sebbene forse il suo compito principale è quello di illustrare le citazioni dei poeti. Vieni! Abbiamo discusso abbastanza.

***NOTE AL TESTO***

[1] Jean-Baptiste Camille Corot (Parigi, 1796 – Parigi, 1875), pittore francese che viene considerato uno dei più sensibili paesaggisti dell’Ottocento.

[2] John Constable (East Bergholt, 1776 – Londra, 1837), pittore inglese, che è ritenuto insieme a William Turner (Londra, 1775 – Chelsea, 1851) uno dei massimi paesaggisti del Romanticismo.

[3] Un libretto (cioè diversi fogli di carta uniti insieme con una copertina) con nulla di scritto sulle pagine, che gli studenti universitari negli Stati Uniti devono usare per scrivere le loro risposte alle domande d’esame.

[4] Robert Louis Balfour Stevenson (Edimburgo, 1850 – Vailima, 1894) scrittore, drammaturgo e poeta scozzese dell’età vittoriana, è noto principalmente per i romanzi L’isola del tesoro e Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde.

[5] Cioè Bisturi.

[6] Sir Henry Rider Haggard (Bradenham, 1856 – Londra, 1925), autore di romanzi d’avventure. La sua opera più famosa è Le miniere di re Salomone (King Solomon’s Mines, 1885), che risulta essere il primo romanzo di avventura in lingua inglese.

[7] Henry James (New York, 1843 – Londra, 1916) è stato uno scrittore e critico letterario statunitense naturalizzato britannico, noto per i suoi romanzi e i suoi racconti sul tema della coscienza e della moralità, nonché per un volume di saggi su Poeti e romanzieri francesi.

[8] Sir Thomas Henry Hall Caine, conosciuto come Hall Caine (Runcorn, 1853 – Greeba Castle, 1931), è noto  soprattutto come romanziere e drammaturgo della tarda epoca vittoriana ed edoardiana. Ai suoi tempi fu eccezionalmente popolare e al culmine del suo successo i suoi romanzi surclassavano le vendite dei suoi contemporanei.

[9] James Payn (Maidenhead, 1830 – Londra, 1898) è stato un romanziere ed editore inglese. Tra i periodici da lui curati c’erano il Chambers’s Journal di Edimburgo e il Cornhill Magazine di Londra. Il suo romanzo più popolare è Lost Sir Massingberd (1864).

[10] William Black (Glasgow, 1841 – Brighton, 1898), scrittore britannico, fu molto popolare in vita, ma la sua fama non continuò dopo la morte. Qui si allude al suo romanzo The Strange Adventures of a Phaeton (1872).

[11] Margaret Oliphant Oliphant, nata Margaret Oliphant Wilson (Wallyford, 1828 – Londra, 1897), scrittrice e poetessa scozzese, scrisse 84 volumi di romanzi e novelle.

[12] Francis Marion Crawford, conosciuto con il nome F. Marion Crawford (Bagni di Lucca, 1854 – Sant’Agnello, 1909), è stato uno scrittore e drammaturgo statunitense noto soprattutto per le sue opere horror, molte delle quali vennero adattate per il cinema.

[13] Capolavoro di Mary Augusta Ward (Hobart, Tasmania, 1851 – Londra 1920), che rappresenta l’evoluzione spirituale di un ecclesiastico inglese.

[14] Il gioco di parole è intraducibile, comunque l’East End era il quartiere più povero di Londra.

[15] Émile Édouard Charles Antoine Zola (Parigi, 1840 – Parigi, 1902), scrittore, giornalista, saggista, critico letterario, filosofo e fotografo francese, è considerato uno dei maggiori esponenti del naturalismo. Fu uno dei romanzieri francesi più apprezzati, più pubblicati, tradotti e commentati in tutto il mondo, lasciando il segno nel mondo letterario francese per molto tempo. I suoi romanzi hanno avuto diversi adattamenti per il cinema e per la televisione.

[16] John Ruskin (Londra, – Brantwood, 1900), scrittore, pittore, poeta e critico d’arte britannico, influenzò fortemente con la sua interpretazione dell’arte e dell’architettura l’estetica vittoriana ed edoardiana.

[17] George Eliot, pseudonimo di Mary Anne (Marian) Evans coniugata Cross (Arbury, 1819 – Londra, 1880), è stata delle più importanti scrittrici dell’età vittoriana.

[18] Alphonse Daudet (Nîmes, 1840 – Parigi, 1897) è stato uno scrittore e drammaturgo francese. In Italia è conosciuto per essere l’autore di Tartarino di Tarascona (1872), proposto dalla RAI in un film per la televisione (1961) e in una serie televisiva (1968) che aveva come protagonista l’attore Tino Buazzelli.

[19] Paul Bourget (Amiens, 1852 – Parigi, 1935), scrittore, saggista francese e membro dell’Académie française dal 1894, si pose in polemica rispetto alle correnti culturali e letterarie predominanti in quel periodo: il naturalismo e il razionalismo, trovando che tali correnti riducessero la vita spirituale al solo aspetto deterministico escludendo così aspetti molto più importanti. Grazie ai suoi romanzi ebbe notevole fama in tutta Europa.

[20] The Deemster è di Sir Thomas Henry Hall Caine; The Daughter of Heth è di William Black; The Disciple è di Paul Bourget; Mr. Isaacs è di Francis Marion Crawford.

[21] Matthew Arnold (Laleham, 1822 – Liverpool, 1888) poeta, critico letterario ed educatore britannico, contribuì potentemente alla cultura del proprio paese facendo conoscere i grandi scrittori stranieri tra i quali G. Leopardi.

[22] William Paley (Peterborough, 1743 – Lincoln, 1805), filosofo e teologo inglese, aveva trovato prove dell’esistenza di Dio nei fenomeni naturali e nel corpo umano. Tuttavia il suo saggio View of the evidences of christianity (1794), molto ammirato ai suoi tempi, fu demolito dalle scoperte darwiniane.

[23] John William Colenso (Saint-Austell, 1814 – Natal, 1883), vescovo anglicano di Natal (Africa meridionale), aveva commentato la Bibbia, analizzandone letteralmente certe affermazioni, con una ristrettezza di vedute che M. Arnold attaccò fortemente in uno dei suoi Essays in criticism.

[24] Honoré de Balzac, nato Honoré Balzac (Tours, 1799 – Parigi, 1850) è stato uno scrittore, drammaturgo, critico letterario, saggista, giornalista francese fra i maggiori della sua epoca, e inoltre il principale maestro del romanzo realista del XIX secolo.

[25] George Meredith (Portsmouth, 1828 – Box Hill, 1909), tra i poeti e i romanzieri inglesi di epoca vittoriana, fu uno dei più grandi. I suoi romanzi erano innovativi per l’attenzione che egli dava alla psicologia dei personaggi e mostravano anche un vivo interesse per il cambiamento sociale. Il suo stile, sia nella poesia che nella prosa, era noto per la sua complessità sintattica.

[26] In As yuou like it.

[27] Dopo un primo tentativo di suicidio in Illusions perdues, Lucien de Rubempré, personaggio ambiguo e contraddittorio, conclude in modo tragico la sua tormentata esistenza in Splendeurs et misères des courtisanes.

[28] Hans Holbein il Giovane (Augusta, 1497 o 1498 – Londra, 1543) era un pittore e incisore svizzero, la cui pittura è stata talvolta definita come realistica, dal momento che disegnò e dipinse sempre con una precisione rara a trovarsi.

[29] Romanzo di Gustave Flaubert (Rouen, 1821 – Croisset, 1880), scrittore francese che viene considerato il maestro del realismo nella letteratura francese, ed è conosciuto soprattutto per essere l’autore del romanzo Madame Bovary.

[30] Romanzo di William Makepeace Thackeray (Calcutta, 1811 – Londra, 1863), scrittore britannico dell’età vittoriana, noto soprattutto per le sue opere satiriche, in particolare La fiera delle vanità (Vanity Fair), che delinea i tratti della società britannica.

[31] Romanzo di Charles Reade (Ipsden, 1814 – Londra, 1884), scrittore e drammaturgo inglese, che ebbe maggior fortuna come romanziere. Assimilò con abilità lo stile e il metodo di lavoro dei naturalisti francesi, prendendo come tema della propria narrativa gli orrori dei penitenziari o dei manicomi.

[32] Romanzo di Alexandre Dumas padre (Villers-Cotterêts, 1802 – Neuville-lès-Dieppe, 1870), scrittore e drammaturgo francese, che viene considerato un maestro del romanzo storico e del teatro romantico.

[33] Romola e Daniel Deronda, sono entrambi romanzi di George Eliot. Oggi, comunque, il secondo viene giudicato migliore del primo.

[34] Charles John Huffam Dickens (Portsmouth, 1812 – Higham, 1870), scrittore e giornalista dell’epoca vittoriana, noto sia per i suoi romanzi umoristici sia per quelli sociali.

[35] William Wordsworth (Cockermouth, 1770 – Rydal Mount, 1850) è il poeta britannico che, assieme a Samuel Taylor Coleridge (Ottery St Mary, 1772 – Highgate, 1834), viene ritenuto il fondatore del Romanticismo e soprattutto del naturalismo inglese.

[36] In Inghilterra, non pronunciare le aspirate era considerato (e lo è tutt’ora) indice di scarsa cultura.

[37] Annone il Navigatore (VI secolo a.C. – V secolo a.C), originario di Cartagine, navigò lungo coste d’Africa oltre le colonne d’Ercole, in epoca incerta, e lasciò una memoria del suo viaggio in lingua punica, di cui rimane un estratto in greco. Questo estratto fu anche tradotto in francese dallo Chateaubriand nel suo Essai sur les révolutions.

[38] Jean Froissart, o Jehan Froissart (Valenciennes, 1337 circa – 1405 circa), viaggiò a lungo in Inghilterra, Scozia, Galles, Francia, Fiandre e Spagna, al servizio Filippa di Hainaut, consorte di Edoardo III d’Inghilterra. Divenne poi canonico della chiesa collegiata dei Ss. Pietro e Paolo di Chimay, liberandosi così da preoccupazioni finanziarie per poter intraprendere nuovi viaggi di studio. Per secoli, le sue Chroniques sono state riconosciute come la massima espressione del rinascimento cavalleresco dell’Inghilterra e della Francia del XIV secolo, nonché una delle fonti più importanti riguardo alla prima metà della guerra dei cent’anni.

[39] Sir Thomas Malory (Newbold Revel, 1409  – ??, 1471), scrittore quattrocentista inglese, raccolse in prosa le leggende su re Artù.

[40] Olav Manson (il cui nome fu poi latinizzato in Olaus Magnus ed è italianizzato in Olao Magno) fu arcivescovo cattolico di Uppsala, nonché umanista e geografo. La sua opera maggiore De gentibus septentrionalibus, nota e tradotta in Italia nel ’500, raccoglie moltissime leggende dei popoli nordici.

[41] Ulisse Aldrovandi (Bologna, 1522 – Bologna, 1605), naturalista e docente in logica, filosofia e filosofia naturale all’Università di Bologna, creò nel 1568 il primo Orto Botanico bolognese. Scrisse numerose opere e una monumentale Historia Naturalis, che dopo il quarto volume venne proseguita dai suoi successori nella cattedra universitaria.

[42] Conrad Lycosthenes, pseudonimo di Conrad Wolffhart, (Rouffach, 1518 – ivi, 1561),umanista ed enciclopedista francese, tenne la cattedra di grammatica e dialettica a Basilea.

[43] Daniel Defoe, o De Foe, (Stoke Newington, 1660 – Moorfields, 1731), uomo politico, scrittore e giornalista, viene frequentemente indicato come il padre del romanzo inglese e ricordato soprattutto per essere l’autore di Robinson Crusoe.

[44] James Boswell, (Edimburgo, 1740 – Londra, 1795), scrittore, giurista e aforista, è conosciuto soprattutto proprio per la sua biografia di Samuel Johnson pubblicata nel 1791.

[45] Thomas Carlyle (Ecclefechan, 1795 – Londra, 1881) saggista, storico e filosofo scozzese, fu uno dei più famosi critici del primo periodo vittoriano.

[46] Secondo la leggenda il piccolo George Washington (Bridges Creek, 1732 – Mount Vernon, 1799), futuro primo presidente degli Stati Uniti, avrebbe abbattuto il ciliegio preferito da suo padre e, a fatto compiuto, avrebbe detto: «Non posso dire una bugia. Sono stato io a tagliarlo con l’accetta».

[47] Sir Francis Cowley Burnand (Londra, 1836 – Ramsgate, 1917), comunemente noto come F.C. Burnand, fu l’autore di un centinaio di parodie e commedie brillanti.

[48] Herbert Spencer (Derby, 1820 – Brighton, 1903), filosofo britannico di impostazione liberale, è stato il teorico del darwinismo sociale.

[49] I viaggi di Mandeville (The Travels of Sir John Mandeville, conosciuto anche come Voyage d’outre mer) è un resoconto di viaggio del XIV secolo. Benché il racconto descrivesse in realtà un viaggio immaginario, fu creduto autentico per almeno due secoli.

[50] Sir Walter Raleigh (1552-1554 circa – Londra, 29 ottobre 1618), corsaro, politico e cortigiano, più volte in grazia e in disgrazia di Elisabetta I, quando salì al trono Giacomo I venne accusato di un ipotetico tradimento per intrighi di core e fu decapitato. Durante i tredici anni trascorsi in carcere prima della sua esecuzione scrisse appunto la Storia del mondo.

[51] Fa riferimento a Dante Gabriel Rossetti, nato Gabriel Charles Dante Rossetti (Londra, 1828 – Birchington-on-Sea, 1882), pittore e poeta britannico, che fu tra i fondatori del movimento artistico dei Preraffaelliti, e a Sir Edward Coley Burne-Jones (Birmingham, 1833 – Londra, 1898), che fu uno tra i maggiori rappresentanti della corrente dei Preraffaelliti,  la cui arte risentì delle influenze di Rossetti nel periodo giovanile e dell’arte rinascimentale italiana (Botticelli, Ghirlandaio, Michelangelo) nella fase della maturità.

[52] Antoon Van Dyck (Anversa, 1599 – Londra, 1641), pittore fiammingo principalmente ritrattista, divenne, dopo un lungo soggiorno in Italia, il primo pittore di corte in Inghilterra.

[53] Le malefatte di Jack Sheppard (1702-1724), brigante settecentesco impiccato a Tyburn, furono raccontate per la prima volta da Daniel Defoe. Il suo contemporaneo Dick Turpin (1706-1739), impiccato a York, è noto  per una leggendaria fuga di 320 chilometri avvenuta in una sola notte da Londra a York sul suo cavallo nero Bess, una storia che è stata resa famosa dal romanziere vittoriano William Harrison Ainsworth.

[54] Arthur Schopenhauer (Danzica, 1788 – Francoforte sul Meno, 1860), filosofo, orientalista e traduttore tedesco, è considerato uno dei maggiori pensatori del XIX secolo e dell’epoca moderna.

[55] Ivan Sergeevič Turgenev (Orël, 1818 – Bougival, 1883) è stato uno scrittore e drammaturgo russo. Il suo romanzo Padri e figli è considerato uno dei capolavori della narrativa del XIX secolo per la sua analisi della struttura familiare russa della sua epoca e dei rapporti interpersonali al suo interno.

[56] Fëdor Michajlovič Dostoevskij (Mosca, 1821 – San Pietroburgo, 1881), scrittore e filosofo, è considerato, insieme a Tolstoj, uno dei più grandi romanzieri e pensatori russi di tutti i tempi.

[57] Maximilien-François-Marie-Isidore de Robespierre, detto l’Incorruttibile (Arras, 1758 – Parigi, 1794) avvocato e politico, fu uno dei protagonisti della rivoluzione in Francia e tra i padri della Prima repubblica francese.

[58] Jean-Jacques Rousseau (Ginevra, 1712 – Ermenonville, 1778) fu filosofo, scrittore, pedagogista e musicista.

[59] Eroina di Vanity Fair.

[60] Personaggio del romanzo The Newcomes, Memoirs of a most respectable family, sempre di Thackeray.

[61] Si riferisce al romanzo Dr. Jekyll and Mr. Hyde.

[62] Giovanni Bellini (Venezia, 1427 o 1430 circa – Venezia, 1516), detto il Giambellino, è stato uno tra i più celebri pittori del Rinascimento.

[63] Charles-François Daubigny (Parigi, 1817 – Parigi, 1878), pittore, agli esordi allievo di Jean-Victor Bertin e di Jacques Raymond Brascassat, fu una delle figure più significative della scuola di Barbizon e uno dei più importanti precursori dell’Impressionismo.

[64] Claude-Oscar Monet (Parigi, 1840 – Giverny, 1926) è  considerato uno dei fondatori dell’impressionismo francese e certamente il più coerente e prolifico del movimento. I suoi lavori si distinguono per la rappresentazione della sua immediata percezione dei soggetti, in modo particolare per quanto riguarda la paesaggistica e la pittura en plein air. Per lui la luce solare era la sola sorgente creatrice dei colori, avvolgendo e rivelando tutte le cose, secondo le ore, con infinite modificazioni: osservazione dalla quale trasse numerose conseguenze di tecnica.

[65] Jacob Abraham Camille Pissarro (Charlotte Amalie, 1830 – Parigi, 1903) meno originale di Monet, dipinse, oltre alle scene di campagna, anche le vie e le piazze di Parigi.

[66] René è un romanzo parzialmente autobiografico dello scrittore francese François-René de Chateaubriand (Saint-Malo, 1768 – Parigi, 1848), considerato il fondatore del Romanticismo letterario francese.

[67] È un personaggio di Le Père Goriot, romanzo di Honoré de Balzac.

[68] Aelbert Jacobszoon Cuyp, o Albert (Dordrecht,  1620 – Dordrecht, 1691) è stato un pittore paesaggista olandese, unico figlio di Jacob Cuyp, anch’egli un pittore di paesaggi.

[69] Henry Moore (York, 1831 – 1895) è stato un pittore inglese, famoso per i suoi paesaggi.

[70] Walter Horatio Pater (Shadwell, 1839 – Oxford, 1894), saggista e critico letterario, è passato alla storia per essere stato uno dei fondatori del movimento estetico.

[71] Frederic William Henry Myers (Keswick, 1843 – Roma, 1901), psicologo e parapsicologo che si occupò parecchio di mesmerismo e di spiritualismo, fu membro e fondatore della Society for Psychical Research.

[72] William Morris (Walthamstow, 24 marzo 1834 – Londra, 3 ottobre 1896), artista e scrittore, fu tra i principali fondatori del movimento delle Arts and Crafts e da molti è considerato il padre del Movimento Moderno.

[73] Tomás Sánchez (Cordova, 1550 – Granada, 1610), è stato un gesuita, giurista e teologo specializzato in casistica (la casistica, o casuistica, è genericamente l’approccio di coloro che nell’ambito di ogni tipo di conoscenza analizzano casi reali o ipotetici per trovare la regola di comportamento valida per ciascuno di essi).

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