«La “prosa d’arte” secentesca è esercitata soprattutto nel campo religioso e devoto; dove ben si capisce come non sia la religione ad avere la maggiore importanza, ma piuttosto la volontà di persuadere attraverso le forme più esasperate del secentismo e le seduzioni più materiali. Devozione e sensualismo camminano di pari passo, e in perfetto accordo. Ed è anche a questa prosa, oltre che alla poesia barocca, che il secolo che sopravviene cerca con ogni sforzo di opporsi, cercando semmai nel Seicento dei punti di appoggio sostanziati di una maggiore sobrietà, di una diversa serietà morale e intellettuale, nella linea insomma galileiana. Alla quale, del resto, possono avvicinarsi, anche se soprattutto esteriormente, alcuni dei compilatori, assai numerosi nel secolo, di relazioni di viaggi.
Operano costoro sostanzialmente su due linee, una animata da un interesse del viaggio per se stesso, l’altra da una destinazione edificante: nel primo caso si tratta di cronache di “turisti”, nel secondo di missionari. Tra le due linee si trova appunto una posizione più singolare, che è quella di chi, viaggiando, non trascura di osservare fenomeni naturali, semplici paesaggi, luoghi e configurazioni geografiche con uno spirito che, magari un po’ superficialmente, partecipa dell’attitudine del secolo alla ricerca o all’esame scientifico. Ciò che sostanzialmente scompare nell’attività di questi scrittori è quell’interesse concreto, che al principio del secolo aveva ancora animato Francesco Carletti, per gli aspetti commerciali dei paesi che si visitano, per le ricchezze da raccogliere e commerciare, per la possibilità di intavolare buone relazioni d’affari con popoli lontani. Invece troviamo per esempio in un Pietro Della Valle […] una curiosità epidermica per i luoghi visitati, per le situazioni politiche incontrate, per le costumanze sociali e religiose, che vengono giudicate di solito in un confronto tra la civiltà occidentale, la migliore possibile nel giudizio del viaggiatore, che è stato definito appunto un “turista” (anche se magari egli va arzigogolando impossibili alleanze politiche tra popoli diversi), e le civiltà indigene. Nella Istoria delle guerre civili di Polonia di Michele Bianchi, che visitò, tra il 1648 e il ‘57, molti paesi dell’Europa orientale, affiora un prevalente interesse sociale e dalla costituzione delle società egli deriva conclusioni abbastanza improvvisate sul carattere delle popolazioni visitate. E tra questi “turisti” e “diplomatici” nomineremo Bernardo Bironi e Carlo Ranzo. Un riaffiorare di curiosità per i problemi economici, per i vantaggi pratici che possono derivare da terre lontane si può registrare più tardi nel Giro del mondo (1699) di Francesco Gemelli-Careri, animato da una mentalità in parte già nuova.
Quello che dicevamo circa una presenza di disposizioni di tipo galileiano si può incontrare nell’opera Viaggio settentrionale di Francesco Negri (1623-1698), che visitò i paesi scandinavi e vi osservò molte cose minutamente e con interesse vagamente scientifico. Al di là di questa linea si trovano i molti missionari che uniscono spesso un vivo interesse di scoperta di popolazioni selvagge con l’intento dichiarato di far capire come il buon selvaggio sia suscettibile di ricevere facilmente e con buona disposizione il verbo cristiano. Tale è Francesco Bressani, che viaggiò nel Canada e descrisse le popolazioni indiane d’America con verità e franchezza, se non con doti coloristiche e rappresentative. Fra i viaggiatori “missionari”, estensori di varie relazioni, si ricordano Cristoforo Borri, che nel 1615 fu in Cocincina, Giovanni Battista Bonelli, che raggiunse le Indie, il Tonchino e Macao, Arcangelo Lamberti, che fu missionario in Georgia e in Migrelia, regione a sud del Caucaso, tra il 1630 e il ‘49, Giovanni Francesco Romano, che intorno alla metà del secolo fu in Africa, nella regione del Congo, come anche Giovanni Antonio Cavazzi e Fortunato Almandini, autori di una Istorica descrizione de’ tre regni Congo, Matamba e Angola (1687)»[1].
Francesco Carletti
Nacque nel 1573 o nel 1574 (probabilmente a Firenze) da Antonio, discendente da una famiglia di lunga tradizione mercantile, e da Lucrezia Macinghi. Francesco venne presto avviato alla mercatura dal padre, aveva a lungo esercitato il commercio con la Spagna, il Portogallo e le loro colonie. Recatosi nel 1591, all’età di diciott’anni, a Siviglia per fare pratica presso il mercante fiorentino Nicolò Parenti, partì da questa città nel 1594 insieme al padre (che morirà a Macao nel 1598) per recarsi a Capo Verde, dove avevano intenzione di comperare schiavi da vendere in America. Al Capo Verde prende inizio il lungo e avventuroso viaggio che lo condurrà, nell’arco di dodici anni, a compiere il giro del mondo toccando Panama, il Perù, il Messico, le Filippine, il Giappone e l’India. Il viaggio commerciale era iniziato per praticare il mercato di schiavi, che affluivano a Santiago (la maggiore delle isole del Capo Verde) da tutta la costa occidentale dell’Africa, in seguito fece sì che il Carletti, per incrementare la propria fortuna, si dedicasse a ogni sorta di traffico e commercio acquistando e vendendo merci d’ogni genere, dalle spezie, alle pietre preziose, ai tessuti. Nel 1601, accumulato un discreto patrimonio, decise di fare ritorno a Firenze e s’imbarcò a Goa su una nave portoghese, che durante il viaggio venne assalita da due navi olandesi. Fatto prigioniero e privato delle merci e delle sostanze, si recò in Olanda per ottenere il risarcimento del danno subito; la controversia con gli olandesi durò tre anni ed ebbe un esito poco soddisfacente poiché gli venne assegnato un modesto rimborso. Infine, tramite l’ambasciatore francese in Olanda, fu invitato a recarsi a Parigi, dove Enrico IV, su suggerimento dello stesso ambasciatore, aveva deciso di valersi di lui per avviare una compagnia francese per il commercio con le Indie Orientali. Fallito il progetto il Granduca Ferdinanado I lo invitò a ritornare a Firenze, dove arrivò nel 1606. Qui, probabilmente per il desiderio di porre a disposizione del Granduca la propria esperienza in maniera organica, scrisse I ragionamenti di un mio viaggio intorno al mondo dedicandoli appunto a Ferdinando I, che lo nominò al suo rientro maestro della casa granducale, incarico che mantenne fino al 1616. In si occupò anche di alcuni incarichi relativi al porto franco di Livorno e, licenziato nel 1617, dopo la morte del granduca, resterà al servizio dei Medici con vari incarichi diplomatici. Morì a Firenze nel 1636.
«Secondo quanto egli stesso lascia intendere nei Ragionamenti, il Carletti era andato raccogliendo durante il viaggio una serie di appunti e note relativi sia alle sue dirette esperienze, sia alle numerose testimonianze e narrazioni raccolte. Questo materiale andò tutto perduto con le altre sue cose sequestrate dagli Olandesi, sicché egli dovette ricostruire il viaggio con i soli ricordi e con il sussidio delle relazioni di precedenti viaggiatori»[2]. I ragionamenti sono divisi in due discorsi di sei ragionamenti ciascuno, l’uno dedicato alle Indie Occidentali, l’altro alle Indie Orientali. Nonostante Carletti dichiari che il principale interesse che lo muove sia esclusivamente quello mercantile, i suoi Ragionamenti costituiscono il risultato più significativo della letteratura di viaggio del sec. XVII sia per la capacità di comprendere senza pregiudizi religiosi e culturali e con animo disincantato le nuove realtà che sperimenta, sia per la sensibilità, talvolta squisita, con cui sa reagire alle meraviglie che la natura offre alla sua curiosità sempre viva ed eccitata.
Mercante concreto e spregiudicato Carletti sa giudicare al di là di ogni sovrastruttura morale e religiosa il regime di sfruttamento del colonialismo spagnolo, così come sa giudicare, con piena consapevolezza, la propria condizione di suddito (malamente protetto) del piccolo e debole Granducato di Toscana nei confronti dei mercanti spagnoli e portoghesi (ma anche degli emergenti olandesi e inglesi), alle cui spalle si ergono Stati moderni e forti, ben organizzati e in grado di dominare i traffici marittimi internazionali. Carletti è l’ultimo dei viaggiatori mercanti italiani a proporre i vasti orizzonti oceanici e le grandi avventure del mare, il suo viaggio segna la fine di una tradizione di viaggi commerciali che, preso avvio da Marco Polo, si concludeva con la crisi economica e politica degli Stati italiani del Seicento, irrimediabilmente esclusi dai commerci internazionali. Ed è proprio in questo che risiede la vera importanza dell’opera nel suo carattere di testimonianza diretta di una situazione storica ancora largamente in trasformazione, e che egli abbia saputo cogliere sul nascere tutta una serie «di processi e di rapporti sui quali poi si costruirà tanta parte della storia successiva: la tratta transoceanica degli schiavi, i rapporti tra i conquistatori iberici e le popolazioni indigene, le ultime sopravvivenze delle antiche civiltà precolombiane, la resistenza dei Giapponesi e dei Cinesi all’influenza politica e culturale europea, i limiti imposti ai traffici commerciali dal governo spagnolo, e in generale le condizioni del commercio d’oltremare in un periodo nodale del suo sviluppo; le difficili relazioni tra Portoghesi e Spagnoli, ufficialmente unificati sotto una medesima corona, in effetti improntate alla più grande rivalità; infine il sorgere, contro le due più grandi potenze marinare del tempo, della minacciosa concorrenza olandese. I rapporti del C. con la giustizia commerciale olandese costituiscono poi una testimonianza significativa degli usi marittimi allora vigenti; e così pure le sue trattative con la corte francese mostrano di quanta rilevanza fosse ormai diventato il problema del commercio oceanico per tutte le potenze europee.
Infine, i Ragionamenti sono un documento insostituibile della psicologia del mercante cinquecentesco. Il modo stesso con cui il Carletti guarda alle straordinarie novità che gli si offrono nei suoi viaggi, l’imperturbabilità delle sue descrizioni sono l’espressione di un interesse oggettivistico per il prodotto esotico che solo era possibile a un mercante, il quale tendeva immediatamente a valutare come merce quello che per il viaggiatore geografo era oggetto di curiosità scientifica e per il conquistador era destinato a una rapida dissipazione […]. È appunto la peculiarità di questo punto di vista a fare dei Ragionamenti un’opera unica: raramente è dato incontrare nella letteratura cinquecentesca tante e così dettagliate notizie sulle attività commerciali del tempo, in una panoramica di traffici che ormai ricoprono tutta la superficie terrestre, non soltanto quindi i faticosi itinerari dei mercanti spagnoli e portoghesi, e delle altre nazioni europee, in quel mondo che un secolo prima Alessandro VI ha rigidamente diviso, ma anche il commercio interno delle sterminate regioni africane, americane e asiatiche che si convoglia verso i grandi mercati dove lo attendono gli Europei. Di qui la notevole fortuna che ancora arride all’opera, la quale si raccomanda anche per uno stile diretto e popolaresco, assai efficace e divertente»[3].
Francesco Belli
Nacque nel 1577 ad Arzignano, nel Vicentino, da nobile famiglia, e trascorse buona parte della sua vita in viaggi. Nel 1626 al seguito dell’ambasciatore Giorgio Zorzi la Svizzera, la Germania, l’Olanda e la Francia. Di tale viaggio – durato alcuni mesi ed iniziato da Rotta Sabadina nel Polesine e conclusosi sulle rive dell’Oceano – pubblicherà nel 1632 a Venezia la relazione con il titolo Osservazioni nel viaggio, ampliandola con lunghe dissertazioni accademiche e con componimenti poetici. Morì a Vicenza nell’anno 1644.
Il motivo dominante dell’opera del Belli, così come di buona parte della letteratura di viaggio del Seicento, è costituito dal confronto fra le condizioni degli Stati italiani e quelle dei paesi visitati. L’ordinata vita civile, la pacifica e urbana convivenza, l’organizzazione sociale, la buona amministrazione, il senso della giustizia che governano i paesi visitati, e in particolare l’Olanda, suscitano l’ammirato stupore di Belli, che amaramente pone a confronto le tristi condizioni della vita civile e politica italiana. Non mancano tuttavia le descrizioni dei luoghi più pittoreschi del suo itinerario, o quelle condotte con vivacità gustosa dei singolari incontri che gli erano capitati. «Talvolta il Belli, con spirito di curioso osservatore, ci svela la sua spiccata sensibilità barocca, quando, ad esempio, si sofferma sulla fattura “bizzarra” delle case degli Svizzeri. In genere, però, le descrizioni del paesaggio sono sommarie e tutto viene ridotto al carattere stereotipo dell’“assai vago”, troppo spesso del “gentile” o “delicato”, del “grazioso” o dell’“ameno”. Più viva invece è la descrizione della perigliosa traversata del San Gottardo innevato; ma subito dopo tornano le scarne impressioni sulla visita alle varie città svizzere, tedesche e olandesi e sul ritorno in Italia attraverso il Moncenisio […]. Da buon letterato il Belli, appena può, non manca di far sfoggio della propria erudizione classica con citazioni e rimandi a Cesare, Plinio o Tacito.
Il Belli alterna la sua relazione con un buon numero di sonetti, ventisei per l’esattezza, condotti con una ingegnosità tipicamente barocca, e inframmezzati al racconto là dove le “ricreazioni di vista e d’animo” risvegliano “il talento poetico”. Non manca neppure di rompere la monotonia del suo diario riferendo, su “quistioni” piuttosto oziose […], proposte quotidianamente alla discussione. Le cose più pregevoli sono da ravvisarsi in certe descrizioni (quasi graziose stampe alla maniera di altre più note delle Lettere del Testi), soprattutto sulle vesti e sul comportamento delle donne straniere, o in certe sottolineature di un tema così tipicamente barocco come quello degli orologi, quando ne incontra sui campanili delle città tedesche lungo il Reno, o delle città olandesi»[4].
Pietro Della Valle
Come abbiamo già visto, nel corso del Seicento si viene affermando, in corrispondenza con il declino del viaggiatore mercante, un tipo di viaggiatore ricco e raffinato, animato dal desiderio di sperimentare sensazioni nuove, cultore di archeologia e collezionista, che si rivolge alle realtà nuove mosso da interessi che possono essere definiti come già esclusivamente turistici. I paesi percorsi e i popoli visitati costituiscono il termine di con-fronto attraverso il quale trovare la conferma della superiorità della propria cultura e della propria civiltà, secondo un atteggiamento che diventerà tipico dei viaggiatori e dei turisti sino ai nostri giorni.
A tale tipo di viaggiatore appartiene Pietro Della Valle, nato nel 1586 da Pompeo, la cui nobile famiglia vantava origini medievali, e da Giovanna Alberini. Carattere irrequieto, ma intelligente e versato nelle più disparate discipline, Pietro compì studi letterari, giuridici e musicali. Nel 1606 compose i versi per una piccola rappresentazione scenica in musica, intitolata Il carro di fedeltà d’amore, considerata il primo esempio romano di quel genere su argomento profano. La musica fu composta dal suo maestro di clavicembalo e l’opera fu poi stampata a Roma nel 1611. Nello stesso anno combatté nella battaglia per l’occupazione delle isole Kerkennah, presso la costa tunisina.
Come egli stesso racconta, a seguito di una delusione amorosa, nel 1614 si imbarcò su un vascello a Venezia per andare a visitare i Luoghi Santi. Durante il tragitto passò per il porto di Zante, navigò a poca distanza dal Peloponneso e visitò un sito, del quale descrisse alcune rovine, considerato vicino alla città di Troia. Arrivò in seguito a Costantinopoli, dove si trattenne per più di un anno. Successivamente risalì il Nilo fino al Cairo e visitò le piramidi e la sfinge. Dal Cairo passò alla penisola del Sinai, poi da Suez si recò in Palestina, dove visitò Gerusalemme. Continuando il viaggio attraverso il deserto e la Mesopotamia arrivò a Baghdad, dove nel 1616 sposò Sitti Maani Gioerida, cristiana di rito siriano o caldeo, nata nella città di Mardin, e da lì in Persia, dove si trattenne a lungo e strinse relazioni con lo scià di Persia Abbas I, cui dedicherà l’opuscolo Delle condizioni di Abbas re di Persia. Nel 1621, all’inizio del viaggio di ritorno, durante il tragitto verso Hòrmuz, Sitti Maani Gioerida morì prematuramente e il Della Valle, inconsolabile per questa perdita, ne fece imbalsamare il corpo e lo portò con sé chiuso in una cassa per seppellirlo a Roma.
Vista l’impossibilità di varcare lo stretto a causa delle operazioni belliche in corso, si imbarcò su una nave inglese per l’India, di cui visitò le coste fino a Calcutta, spingendosi anche verso l’interno nella regione del Gugerat. Nel 1624, si imbarcò per il ritorno, sostò nella penisola arabica, a Mascate, quindi attraversò il Golfo Persico giungendo ad Alessandretta, da dove infine si imbarcò per Siracusa e Napoli. Giunse a Roma nel 1626, portando con sé un’importante collezione di manoscritti orientali oltre a reperti di varia natura, incluse alcune mummie egizie. Morì a Roma nel 1652 e fu seppellito nella cappella di famiglia in S. Maria in Aracoeli.
Pietro Della Valle fu autore di poesie e di scritti sulla musica. Trascrisse melodie e canti tradizionali da vari paesi che aveva visitato; progettò strumenti musicali e si occupò di teoria musicale. Tuttavia, l’opera letteraria a cui è legata la sua fama è quella sui Viaggi: la prima parte, dedicata alla Turchia, venne pubblicata a Roma nel 1650, mentre le altre parti, dedicate alla Persia e all’India, furono pubblicate postume nel 1658 e nel 1663.
Della Valle è viaggiatore infaticabile, curioso e attento, cui manca tuttavia la spregiudicatezza, la capacità di modificare i propri schemi mentali e di dubitare delle proprie convinzioni e dei propri valori che erano proprie di Carletti. Egli permane prigioniero della propria cultura, dei propri criteri di giudizio e del proprio senso di superiorità, che gli impediscono di accettare in modo disincantato e di comprendere a fondo le realtà che viene scoprendo.
La sua prosa, composta e decorosa, ma sempre fresca e disinvolta, frequentemente infarcita di citazioni e riferimenti dotti, trova momenti di particolare vivacità narrativa soprattutto quando descrive ed esalta le proprie imprese e la propria vitalità da protagonista assoluto dei Viaggi.
***NOTE AL TESTO***
[1] Binni Walter, Letteratura italiana – Profilo storico – I. Dalle origini al Settecento, in Opere Complete Di Walter Binni, Il Ponte Editore, 2017, pag. 302-303.
[2] *, CARLETTI, Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 20, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 1977.
[3] Ibidem.
[4] Beccaria Gian Luigi, BELLI, Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 7, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 1970.
La versione stampabile dell’articolo è scaricabile da qui: «APPUNTI DI LETTERATURA ITALIANA: IL SEICENTO»
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