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Marco Michelini | 23 Marzo 2022

Linea Biografica

 

Nacque a Venezia il 14 agosto 1552 da Francesco, un mercante originario di San Vito in Friuli, e da Lisabetta Morelli, una veneziana di buona condizione sociale, e venne battezzato con il nome di Pietro. Morto precocemente il padre, fu accolto insieme alla madre e a una sorella minore nella casa dello zio Ambrogio Morelli, primo prete della parrocchia di S. Marcuola, che lo istruì nelle lettere e lo affidò quindi a un frate del vicino convento di S. Maria dei servi, Giovanni Maria Capella, teologo cremonese dell’Ordine dei Servi di Maria, il quale gli insegnò logica, filosofia e teologia, e lo spinse forse ad entrare, malgrado l’opposizione della madre e dello zio Ambrogio che lo voleva prete nella sua chiesa, nel monastero veneziano dei servi di Maria con il nome di Paolo (1566). All’interno dell’Ordine il Sarpi percorse una rapida e brillante carriera che lo condusse a rivestire le alte cariche di Provinciale e di Procuratore. Dotato d’intelligenza non comune e animato da una vivissima curiosità intellettuale, si segnalò precocemente per la vasta cultura, l’enorme erudizione, per l’impegno appassionato e rigoroso con il quale si spese nel promuovere un rinnovamento del proprio Ordine, nella più ampia aspirazione a una rigenerazione della Chiesa postridentina, che ne consentisse il ritorno alla purezza primitiva e alla spiritualità incontaminata delle origini. Ben presto, inoltre, egli ampliò il campo dei propri studi estendendolo a interessi scientifici e naturalistici, a una più meditata riflessione morale, a problemi politici e giuridici in uno sforzo fecondo di approfondire e completare la conoscenza e la comprensione dell’uomo, dell’esistenza umana, della natura.

Questo intenso fervore d’interessi (di cui esiste larga testimonianza nei Pensieri), che caratterizza la formazione culturale di Sarpi, trovò la possibilità di realizzarsi pienamente e di arricchirsi di continui stimoli nell’aperto e vivissimo ambiente veneto in cui egli si trovò ad operare. La Repubblica di Venezia era un centro politico, economico, culturale e artistico di grande vitalità, cui guardavano come a un modello di stato libero e indipendente tutti quegli intellettuali che sentivano farsi sempre più soffocante il potere autocratico della Chiesa romana e il dominio spagnolo coalizzati nella realizzazione del grande progetto controriformistico di egemonia ideologica e politica. L’università di Padova e i circoli veneziani accolglievano i migliori rappresentanti della cultura del tempo; le ambasciate costituivano il luogo privilegiato per entrare in contatto con la vita e la cultura europea, in particolare con quella protestante; l’attività editoriale, non sottoposta all’Inquisizione romana, consentiva alle voci meno ortodosse e conformiste di esprimersi liberamente. Sarpi seppe cogliere le molteplici opportunità di apertura e di arricchimento culturale che questo ambiente gli offriva: all’università di Padova si legò d’amicizia con l’anatomista Girolamo Fabrici d’Acquapendente[1], dedicandosi con passione allo studio della medicina, che rimarrà uno dei suoi interessi fondamentali; a Venezia frequentò l’ambasciatore francese Arnauld du Ferrier[2], rappresentante di Enrico III al Concilio di Trento.

Nel 1567, in occasione della riunione a Mantova del capitolo generale dell’Ordine servita, fu mandato in quella città dove suscitò l’ammirazione generale discutendo pubblicamente centotrentotto tesi di teologia e di filosofia naturale. Ciò gli valse la nomina a teologo da parte del duca di Mantova, e in quell’ ambiente culturale gravitante intorno alla corte dei Gonzaga, approfondì la conoscenza dell’ebraico. Nel 1572, probabilmente a Cremona, pronunciò i voti e fu ordinato sacerdote; due anni dopo ottenne il baccellierato. In seguito fu a Milano (1574-1576) e a Roma (fra il 1579 e il 1588), dove ebbe modo di frequentare sia la vivace e cosmopolita cerchia di coloro che si adoperavano per dare vita a un movimento di riforma della Chiesa cattolica (o erano comunque critici nei confronti della Curia), sia gli ambienti ufficiali della Curia stessa. Sempre a Roma entrò in contatto con il gesuita Roberto Bellarmino, di lì a qualche tempo rappresentante fra i più agguerriti degli orientamenti controriformistici della Chiesa ufficiale; si recò anche a Napoli dove conobbe il naturalista Giambattista Della Porta[3], con cui partecipò ad esperimenti di magnetismo. Il soggiorno romano si concluse per Sarpi con la chiara consapevolezza che l’aspirazione a un rinnovamento della Chiesa, per tanti anni vissuta con fede profonda e con impegno appassionato, era ormai irrimediabilmente delusa: la Chiesa cattolica era avviata ad affermare definitivamente la propria supremazia temporale, spirituale e ideologica.

Parallelamente a tutto ciò si svolse e proseguì la sua rapida carriera all’interno dell’Ordine: nel triennio 1579-82 fu priore provinciale della provincia veneziana e, in tale veste, fece parte della commissione che elaborò le nuove costituzioni dei servi; nel 1585 venne eletto procuratore generale presso la Sede apostolica, la seconda carica dell’Ordine dopo quella di priore generale, grazie alla quale fu nominato nel 1587 consultore dell’Indice.

Concluso il mandato di procuratore generale nel 1588, la sua ascesa si arrestò definitivamente. Il contatto con la Curia romana, in una fase di decisivo rafforzamento istituzionale della Chiesa della Controriforma e di centralizzazione del governo degli Ordini regolari, venne in seguito ricordato da Sarpi in termini molto negativi. Il ritorno a Venezia segnò dunque il progressivo distacco dalla Chiesa ufficiale, mentre si faceva più saldo il suo legame con le vicende civili e politiche della Repubblica di Venezia e con le esperienze religiose europee. A Venezia riprese e ampliò i contatti con i circoli culturali e politici più vivi, nei quali fermentava l’opposizione a Roma e alla Spagna; frequentò il celebre «ridotto Morosini» nel quale convenivano le migliori forze intellettuali del periodo (lo frequentò anche Giordano Bruno); a Padova dopo il 1592 conobbe Galileo, docente in quell’università, col quale approfondì i suoi interessi per la meccanica e l’astronomia e mantenne cordiali rapporti d’amicizia. I suoi interessi si rivolgevano ora prevalentemente ad approfondire lo studio del diritto e delle questioni giurisdizionali, della storia, in particolare di quella ecclesiastica, della filosofia morale, mentre si faceva più intenso il suo impegno nell’attività pratica in concomitanza con il deteriorarsi dei rapporti fra Venezia e Roma. L’autorità romana gli negò per due volte (nel 1600 e nel 1601) la concessione di un vescovato; diventò più frequente intanto la sua collaborazione con il governo della repubblica veneziana, che lo interpellò più volte in qualità di consulente in questioni giuridiche.

Quando avvenne la rottura fra Venezia e Roma a causa di alcune leggi che limitavano i privilegi ecclesiastici (ma in realtà provocata dal più ampio conflitto relativo alla sovranità e all’autonomia dello Stato nei confronti dello strapotere e dell’ingerenza politica del papa), Sarpi fu nominato «consultore in iure», teologo e canonista, al servizio della Repubblica, per fornire il valido aiuto della sua dottrina, della sua esperienza e del suo impegno alle buone ragioni e al buon diritto dello Stato veneto contro la scomunica e l’interdetto papale. Sarpi nei numerosi Consulti redatti in questo periodo offrì la misura delle sue straordinarie capacità e conoscenze in campo giuridico e teologico e nell’uso sapiente della tecnica del diritto, del suo senso politico, del suo rigore logico, della chiarezza espositiva e, soprattutto, del forte risentimento morale, della profonda religiosità e tensione ideale che lo animavano. Fra i Consulti e gli altri scritti di questo periodo si possono ricordare: Consiglio sul giudicar le colpe di persone ecclesiastiche; Scrittura sopra la forza e validità della scomunica; Trattato dell’Interdetto della santità di Papa Paolo V; Apologia per le opposizioni fatte dall’illustrissimo e reverendissimo cardinale Bellarmino alli trattati e resoluzioni di Giovanni Gersone; e, in particolare, Considerazioni sopra le censure della santità di papa Paolo V contro la serenissima Repubblica di Venezia e Scritture sopra l’appellazione al concilio e altro da farsi per mortificare gli atti del Pontefice.

Composto nel 1607 il contrasto fra Roma e Venezia, che aveva suscitato un vivissimo dibattito in tutta Europa e aveva contribuito a diffondere la sua fama, Sarpi rafforzò i suoi contatti con i riformati di ogni confessione dando vita a un fitto epistolario dal quale emerge la sua aspirazione a creare una Chiesa universale ed ecumenica, sottratta alla supremazia del papato romano; nello stesso tempo stimolò la politica estera del governo di Venezia a rafforzare le sue relazioni con i paesi protestanti in funzione di un’alleanza antispagnola. Nell’ottobre del 1607 alcuni sicari, forse inviati dagli ambienti curiali romani, lo aggredirono lasciandolo ferito; rimessosi dalle ferite attense alla stesura dell’Istoria dell’Interdetto, che concluderà nel 1610, in cui diede sistemazione storica alle complesse vicende della controversia con Roma. Nel 1609 scrisse un’altra opera storica, il Trattato delle materie beneficiarie, nella quale, con grande originalità di metodo storiografico, svolge la storia della Chiesa considerandone il progressivo allontanarsi dalla primitiva purezza in seguito al prevalere degli interessi mondani e politici.

Proseguiva intanto l’attività di consultore e di storico, mentre si adoperava affinché la Repubblica di Venezia riaffermasse e mettesse in opera, sia in politica interna, sia in politica estera, quei principi sostenuti durante il contrasto con Roma. Nel 1613 iniziò la sua opera maggiore, l’Istoria del Concilio tridentino, che terminerà nel 1618. Fra il 1614 e il 1616 scrisse l’Aggionta e il Suplimento alla Historia degli Uscochi dell’arcivescovo di Zara Minucio Minucci[4], nei quali prosegue fino al 1615 la narrazione delle vicende degli Uscocchi, i pirati di origine slava che, con la protezione dell’Austria, insidiavano la navigazione veneta nell’Adriatico (e Sarpi amplierà e approfondirà l’argomento con il Trattato di pace et accomodamento delli moti di guerra eccitati per causa d’Uscochi, scritto fra il 1619 e il 1620). Terminata la fatica dell’Istoria del Concilio le condizioni di salute di Sarpi decaddero rapidamente, si dedicò ancora alla stesura di alcuni consulti e di altri scritti (Sulla pubblicazione di scritture malediche contra il governo e Breve relazione della Valtellina del 1621; In materia di crear nuovo inquisitor di Venezia e Breve ragionamento col principe di Condé del 1622), ma il 15 gennaio 1623 venne a morte, assistito dal fedele amico e biografo Fulgenzio Micanzio[5], che ne trasmise le ultime parole augurali indirizzate a Venezia: «Esto perpetua».

 

L’Istoria del Concilio tridentino

 

Al Momento della sua morte, il Sarpi rifiutò «la confessione e l’estrema unzione, accettando l’unico sacramento per lui valido: la comunione.

Anche questo particolare aiuta a comprendere la prospettiva religiosa fondamentale di questo grande spirito: una prospettiva che non si identificava con quella protestante luterana (con cui aveva tanti punti in comune) nella sua aspirazione alla comunità intera dei cristiani (di cui il sacramento della comunione era profondo simbolo) quale si era avuta alle origine del cristianesimo, quando la chiesa primitiva si era organizzata in maniera democratica e aveva vissuto la sua grande stagione di purezza intransigente, di rifiuto assoluto delle tentazioni mondane di ricchezza e potenza, realizzando così l messaggio autentico di Cristo e la totale ed egualitaria partecipazione dei fedeli alla vita della propria organizzazione.

A tale prospettiva religiosa, sempre più maturata nelle vicende e nelle esperienze esaltanti e amarissime della sua vita combattiva e coraggiosa (uno degli esempi alti di vite impegnate e impavide che si ergono nella nostra storia in mezzo a tante vite prudenti o addirittura vili, portate avanti con sapienti compromessi e utilitaristiche concessioni), si lega fondamentalmente l’attività del Sarpi nelle sue stesse battaglie politiche a favore dell’indipendenza della repubblica veneta, poiché la stessa distinzione sarpiana fra la laicità dello stato e la vita religiosa si riconduce anzitutto alla sua stessa profonda religiosità che si considera diminuita e snaturata dalle tentazioni mondane della Chiesa quando essa aspira ad un potere che non solo non le spetta ma, ripeto, la snatura e la contamina.

Ma a questa prospettiva religiosa e politica il Sarpi adibisce una potente forza di storico-scienziato che, sempre commisurando il passato alle esigenze di ideali e valori (il vero storico ha sempre una sua prospettiva e non può mai essere opacamente neutrale e assolutamente “spassionato”), vuole insieme verificare lucidamente i fatti narrati, dimostrarli con prove e documenti, con un metodo che risente indubbiamente della stessa educazione scientifica del Sarpi e s’ispira al rinnovamento del metodo sperimentale galileiano.

Per questo il suo capolavoro è costituito (accanto a tanti scritti pur interessanti e legati alla sua battaglia in difesa dello stato veneto o al suo epistolario molto considerevole e utile a meglio lumeggiare la sua vastità di rapporti con personalità italiane e straniere e il suo carattere morale severo e coraggioso) da una grande opera storica: quell’Istoria del concilio tridentino (fatta da lui pubblicare a Londra nel 1619 sotto lo pseudonimo anagrammatico di Pietro Soave Polano) che lo occupò a lungo sia per la stesura sia per la preliminare raccolta dei documenti necessari a dare base e certezza concreta alla sua narrazione delle vicende del famoso concilio e alla sua stessa dimostrazione del sostanziale fallimento di quel concilio rispetto all’opera di purificazione, di democratizzazione, di accoglimento di tutti i cristiani che se ne poteva attendere e che invece fu capovolta in un irrigidimento delle tendenze della chiesa romana al dominio temporale, all’organizzazione gerarchica e monarchico-assolutistica (tutto il potere al papa), alla persecuzione di ogni deviazione da leggi e dogmi rigidi e indiscutibili»[6].

L’opera, strutturata in otto libri, fu iniziata, dopo un lungo lavoro di ricerca delle fonti e dei dati, nel 1613 e portata a termine nel 1618. La sua pubblicazione fu seguita con grande cautela da Sarpi, che fece pervenire il manoscritto in Inghilterra, dalla quale gli amici anglicani lo avevano incitato a scriverla. L’Istoria del Concilio tridentino incontrò un successo immediato e larghissimo ed ebbe numerose traduzioni, in francese e in inglese (1621), in tedesco (1620), in latino (1620). Come è stato scritto, l’opera del Sarpi è una delle più grandi che annoveri la storiografia di tutti i tempi, preparata da tempo, probabilmente dal primo affiorare della sua crisi religiosa, per comprendere attraverso le fasi di un rinnovamento mancato i mali della Chiesa che lo stavano assillando. In tal senso, l’Istoria del Concilio Tridentino articola una materia vastissima comprendente gli avvenimenti che vanno dai primi decenni del secolo XVI con la predicazione delle indulgenze, alla sfida di Lutero, dai lavori preparatori del Concilio al suo svolgimento (con il succedersi delle varie sessioni in un intreccio d’iniziative e discussioni e con il contrapporsi delle diverse posizioni, tesi, proposte), alla sua conclusione nel 1563 e agli anni immediatamente successivi.

Sarpi domina questa materia tanto ampia e complessa con ferma unitarietà di concezione che configura la vicenda del Concilio come tragica occasione fallita di genuino rinnovamento religioso e come definitivo processo di politicizzazione della religione, di consolidamento del potere temporale della Chiesa rivolta ormai a strumentalizzare i valori spirituali per realizzare le proprie finalità mondane e politiche. Uno spirito religioso profondo e un appassionato risentimento morale permeano tutta l’opera accanto a un interesse politico vivissimo che si esprime nella decisa affermazione dell’autorità assoluta dello Stato e della sua piena autonomia. L’interesse più vivo tuttavia è rivolto all’uomo quale principale fattore della storia e all’indagine dei fatti analizzati con lucido rigore di scienziato.

Sarpi fa propria, la tradizione storiografica rinascimentale (quale si è espressa soprattutto in Guicciardini) e ne opera nel contempo un rinnovamento di metodo e di strumenti di ricerca nella stessa direzione aperta in quel periodo da Galileo al rinnovamento del metodo scientifico. La narrazione fluisce senza pausa alcuna con ampio e sinuoso movimento nel seguire il complicato intreccio delle vicende conciliari e dei fatti politici che si succedono nell’inquieto quadro europeo; nell’individuare le forze e gli interessi in gioco, nell’esporre le tesi contrapposte, le opinioni diverse che animano il dibattito del Concilio; nell’interpretare le questioni teologiche, dogmatiche e giuridiche, nel rilevare le dispute procedurali e, soprattutto, nell’analizzare le azioni (e le macchinazioni, gli intrighi) dei pontefici e della curia romana sempre dirette a spegnere le istanze di rinnovamento e ad affermare la potenza e la solidità dell’istituto ecclesiastico romano e delle sue strutture; nel considerare, all’opposto, le delusioni e le frustrazioni di coloro che attendevano dal Concilio l’auspicata rigenerazione spirituale della Chiesa.

I risultati espressivi toccati da Sarpi nell’Istoria dell’Interdetto raggiungono nell’Istoria del Concilio la loro forma più alta e compiuta, la prosa sarpiana vi si distende scarna, essenziale e precisa, perfettamente aderente al pensiero, capace di penetrare a fondo nei fatti, analizzandoli in un esame esaustivo, di operare dense schematizzazioni, nel compendiare ad esempio gli ampi discorsi conciliari, di articolarsi in una varietà di modulazioni stilistiche per dare spazio alla veemenza polemica o all’ironia sferzante. La forza espressiva della prosa sarpiana si realizza in particolare nei ritratti dei protagonisti del Concilio, dei pontefici innanzi tutto, di cui Sarpi scandaglia l’animo e il carattere con il gusto e la sensibilità per l’introspezione che è propria dei moralisti del suo tempo, così come è vicino alla sensibilità barocca il gusto per le zone d’ombra, per i retroscena dai quali si sviluppano avvenimenti difficilmente penetrabili. Questa prosa icastica, di grande limpidezza e semplicità, uniforme e grave nel tono generale, che si avvale di un linguaggio medio fittamente intessuto di termini giuridici e dottrinali, di latinismi, di citazioni e riferimenti biblici, di venetismi, può essere paragonata soltanto a quella di Machiavelli o di Guicciardini, accanto ai quali si pone fra i modelli più alti della letteratura italiana.

 

L’Istoria dell’Interdetto

 

Antecedente all’Istoria del Concilio tridentino è l’Istoria dell’interdetto, che narra del contrasto tra la Repubblica veneziana e lo Stato Pontificio. Stretta a nord dall’Impero, in Italia dalla prevalenza spagnola e papale, in Oriente dalla potenza turca, Venezia era ormai avviata a quel lungo declino politico ed economico che avrebbe raggiunto il suo apice alla fine del Settecento. Alla prudente politica dei vecchi patrizi, rassegnati alla compromissione con l’Impero e il papato, si sostituì quella degli innovatori, i cosiddetti «Giovani», decisi a sottrarre la Serenissima all’invadenza ecclesiastica nell’interno e a rilanciarne le fortune commerciali nell’Adriatico, compromesse dal controllo dei porti esercitato dallo Stato pontificio e dalle azioni degli Uscocchi, i pirati cristiani croati appoggiati dall’Impero.

L’introduzione nello stato veneto dell’Indice dei Libri Proibiti (1596) e le controversie confinarie circa il territorio ferrarese (1597) erano stati i primi esempi di grave crisi tra la Repubblica ed il Papa. Il 10 gennaio 1604 il Senato veneziano proibì la fondazione di ospedali gestiti da ecclesiastici, di monasteri, chiese e altri luoghi di culto senza autorizzazione preventiva della Signoria; il 26 marzo 1605 un’altra legge proibiva l’alienazione di beni immobili dai laici agli ecclesiastici, già proprietari, pur essendo solo un centesimo della popolazione, di quasi la metà dei beni fondiari della Repubblica, e limitava le competenze del foro ecclesiastico, prevedendo il deferimento ai tribunali civili degli ecclesiastici responsabili di reati di particolare gravità. Avvenne che il canonico vicentino Scipione Saraceno, colpevole di molestie a una nobile parente, e l’aristocratico abate di Nervesa, Marcantonio Brandolini, reo di omicidi e di stupri, fossero incarcerati. Il 10 dicembre 1605 la diretta minaccia ai privilegi ecclesiastici suscitò la fulminea reazione di papa Paolo V che, visti vani gli effetti di un’intimazione solenne al senato veneziano per la revoca delle leggi in questione, passò alla sanzione estrema lanciando la scomunica contro il senato e l’interdetto contro il territorio veneto. La replica veneziana fu altrettanto radicale nell’ordinare che non si tenesse conto, anche da parte dei religiosi, della volontà papale e nel sancire l’espulsione di quegli ordini religiosi che non si fossero uniformati alle decisioni del senato. Il 28 gennaio 1606 il Sarpi venne nominato teologo canonista e lo stesso giorno il suo scritto: Consiglio in difesa di due ordinazioni della Serenissima Repubblica, venne inviato al Papa.

Si apriva in tal modo una contesa di carattere giurisdizionale (ma gravida d’implicazioni più generali e di vitale importanza sia per Venezia, sia per Roma impegnate l’una a difendersi dall’ingerenza papale e a mantenere la propria autonomia e indipendenza, l’altra a imporre il nuovo corso controriformistico), che minacciava di sfociare in un conflitto europeo. Il contrasto fu diretto tuttavia da entrambe le parti con la preoccupazione di non precludere la via al compromesso, pur in un clima di rovente polemica e di acceso dibattito, al quale partecipò tutta la cultura europea, animato da un fitto scambio di documenti con i quali ciascuna parte, valendosi dei giuristi e dei teologi più agguerriti, sosteneva il proprio buon diritto e la validità delle proprie ragioni e confutava quelle dell’avversario. Il compromesso giunse infine, dopo lunghe e difficili trattative cui parteciparono le grandi potenze di Francia e di Spagna, grazie soprattutto alla mediazione del cardinale Joyeuse[7] incaricato di Enrico IV re di Francia, il 21 aprile 1607, lasciando sostanzialmente immutate le posizioni delle due parti.

Fra il 1607 e il 1610 Sarpi ripercorse queste complesse vicende dando loro sistemazione storica in sette libri (l’opera venne pubblicata postuma nel 1624) nei quali la sapienza giuridica e l’impegno morale, politico, religioso dei Consulti si articolano organicamente e si sostanziano in una narrazione tutta tesa, con esplicita parzialità, a esporre la giusta causa e il buon diritto di Venezia minacciati e lesi. La prosa di Sarpi fluisce essenziale e precisa, estranea a ogni ricercatezza barocca e collegata piuttosto ai grandi modelli cinquecenteschi, sostenuta da estremo rigore logico, da una tecnica narrativa che sa graduare sapientemente il racconto e animata dal vigore polemico di un profondo risentimento morale e da una sferzante ironia. Sarpi svolge la vicenda dell’Interdetto, collocata attentamente nel suo contesto europeo, seguendone con lucidità il fitto intreccio dei fatti e prospettandone la circostanziata analisi delle ragioni, degli interessi, delle forze che si contrappongono. Nel vario e rapido susseguirsi delle vicende, delle situazioni, dei personaggi, delle opposte posizioni teologiche e giuridiche, permangono quale nucleo centrale e unitario dell’opera la convinzione di operare in difesa del proprio buon diritto e la coscienza profonda di affermare valori, verità e ideali assoluti, che superano il momento della polemica contingente. L’affermazione dell’inviolabilità della coscienza individuale e della necessità della separazione fra potere temporale e potere spirituale, l’aspra polemica contro il papato e i gesuiti, espressioni di una Chiesa mondana e corrotta, l’aspirazione a un rinnovamento religioso profondo costituiscono i motivi dominanti di quest’opera che è, come l’Istoria del Concilio tridentino, testimonianza vivissima di un impegno politico e culturale esemplare.

***NOTE AL TESTO***

[1] Girolamo Fabrici d’Acquapendente, noto anche come Girolamo Fabrizio (Acquapendente, 1533 circa – Padova, 1619), fu anatomista, chirurgo e fisiologo, precursore in molte discipline – tra le quali ortopedia, anatomia, embriologia, anatomia comparata, chirurgia; insegnò per cinquant’anni all’Università di Padova, dando vita ad una scuola di famosi medici e anatomisti. Il suo nome resta legato alla costruzione del teatro anatomico di Padova, modello per i teatri anatomici seicenteschi in tutta Europa.

[2] Arnauld du Ferrier (Tolosa, 1508 c.a.– ??, 1585) iniziò gli studi di diritto in Francia, ma li terminò a Padova. Insegnò a Bourges e a Tolosa. Divenuto presidente del Parlamento di Parigi, fece parte della missione diplomatica francese al concilio di Trento nel 1562, dove combatté le idee di supremazia papale, contrapponendovi la teoria conciliare, le tradizioni gallicane, i diritti dello stato di diretta origine divina. Riuscite vane le sue proteste, si ritirò a Venezia e vi coprì la carica di ambasciatore fino al 1582. Tornato in Francia, si legò al re di Navarra, e gli consigliò, come suo gran cancelliere, una politica di conciliazione con i Politici per combattere la Lega.

[3] Giovanni Battista Della Porta (Vico Equense, 1535 – Napoli, 1615), filosofo, alchimista, commediografo, scienziato italiano, uomo poliedrico, trascorse la maggior parte della sua vita in attività scientifiche. La sua grande erudizione e i suoi accattivanti principi esplicativi (perché toccano sia l’immaginazione che l’intelletto) hanno dominato la scena del pensiero scientifico italiano, prima che Galileo succedesse intorno al 1600, nell’identificare i tratti della nuova razionalità scientifica che conosciamo nella scienza fisica moderna. Egli, prima di Galilei scrisse un piccolo trattato De Telescopio, in cui descrisse le fasi di costruzione dello strumento, diventando il primo a realizzare il telescopio e a servirsene rispetto agli Olandesi e allo stesso Galilei. La sua opera più famosa, pubblicata per la prima volta nel 1558, è intitolata Magia Naturalis. In questo libro egli coprì una varietà di argomenti che aveva studiato, tra cui la filosofia occulta, l’astrologia, l’alchimia, matematica, la meteorologia e la filosofia naturale. I suoi studi hanno ispirato l’opera di altri scienziati, tra cui l’astronomo Jerónimo Cortés. È stato anche definito “professore di segreti”.

[4] Minucio Minucci Nacque nel 1551 a Serravalle da Girolamo e Franceschina Raccola. Dal 1567 la famiglia lo mandò per qualche anno da suo zio Andrea, che era arcivescovo di Zara. Si laureò in diritto canonico all’università di Padova. Nel 1573 divenne segretario delle delegazioni apostoliche a Innsbruck, Salisburgo e Monaco di Baviera. Incominciarono gli stretti rapporti con la casata di Wittelsbach. Dopo la morte del nunzio divenne il segretario del cardinale Ludovico Madruzzo, principe vescovo di Trento. Con lui Minucci viaggiò verso la Dieta di Augusta nel 1582. Il 7 febbraio 1596 fu eletto arcivescovo di Zara e fu consacrato vescovo il 10 marzo dello stesso anno. Si dedicò intensamente alla riforma della sua Chiesa, dove i costumi dei fedeli e del clero non si erano ancora adeguati, se non in minima misura, ai precetti del Tridentino. L’educazione religiosa dei giovani costituì uno dei suoi principali impegni, ma a causa della precaria situazione finanziaria del vescovato, il M. non poté tuttavia realizzare il suo progetto di fondare un seminario in cui formare i giovani sacerdoti. Morì a Monaco il 7 marzo 1604 e fu sepolto nella cappella di S. Andrea della chiesa di S. Michele dei gesuiti.

[5] Fulgenzio Micanzio (al secolo Paolo Micanzio) nacque a Passirano nel 1570, piccolo borgo bresciano dove trascorse l’infanzia e ricevette la prima educazione nel locale convento dei Servi di Maria. Nel 1590 passò a Venezia nello “Studium” del convento di Santa Maria dei Servi. Qui probabilmente incontrò Paolo Sarpi. Nel 1597 divenne insegnante di teologia nel convento di santa Maria del Monte a Vicenza. Si laureò nel 1600 a Bologna dove insegnò teologia nello “Studium” dei Servi di Maria fino al 1606. In tale anno venne invitato a Venezia da Paolo Sarpi come suo segretario, incarico che mantenne fino al 1623. Alla morte del Sarpi, Fulgenzio Micanzio venne nominato dalla Repubblica di Venezia suo successore e revisore delle bolle come consultore. Morì a Venezia il 7 febbraio 1654.

[6] Walter Binni, Letteratura italiana – Profilo storico – I. Dalle origini al Settecento, in OPERE COMPLETE DI WALTER BINNI, Il Ponte Editore, 2017, pag. 256-257.

[7] François de Joyeuse (Carcassonne, 1562 – Avignone, 1615) era il secondo figlio di Guillaume de Joyeuse e Marie Éléonore de Batarnay. Era fratello del duca Anne de Joyeuse nonché del Maresciallo di Francia e monaco cappuccino Enrico di Joyeuse, e alla morte dei fratelli egli stesso divenne duca di Joyeuse. Papa Gregorio XIII lo elevò al rango di cardinale nel concistoro del 12 dicembre 1583, con il titolo di cardinale presbitero di San Silvestro in Capite. Negoziò la riconciliazione tra Enrico IV e papa Clemente VIII (1595) e fu uno dei tre membri componenti la commissione che dichiarò nullo il matrimonio di quel re con Margherita di Valois, nel 1599; papa Paolo V lo nominò arcivescovo di Rouane e suo legato in Francia (1606). Fu membro del consiglio di reggenza di Luigi XIII.


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