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Marco M. G. Michelini | 27 Giugno 2015

Appartenente alla nobile casata ghibellina dei Soldanieri, e figlio di quel Neri che fu esiliato assieme a Dante nel 1302, Niccolò nacque a Firenze (o forse a San Miniato) e fu probabilmente costretto a vivere a lungo in esilio. Della sua vita non si hanno notizie certe, se non la data della morte, avvenuta a Firenze il 20 settembre 1385.

Dalle sue rime si deduce che la sua attività poetica si collochi tra 1350 ed il 1370. Scrisse rime gnomiche – canzoni morali e sonetti – alquanto scialbe, attraverso le quali entrò in corrispondenza con altri poeti fiorentini coevi. La sua fama resta tuttavia affidata soprattutto alle rime per musica, ballate madrigali cacce, connesse alla scuola fiorentina dell’Ars nova, dove eccelse caratterizzandosi per la grazia epigrammatica dei suoi versi, pervasi da una venatura di garbato erotismo allusivo, e per lo stile brioso, ricco di onomatopee e di artifici retorici. Talora affiora anche nei suoi componimenti un senso del piacere tanto più intenso quanto più effimero e fugace, per cui sembra precorrere spiriti e forme poetiche del secolo seguente. Ha scritto di lui il Sapegno: «Nessuno ha come il Soldanieri un tratto così energico e conciso, nessuno riesce a stringere la linea di un’avventura galante in uno scorcio così fermo e conchiuso».


N.B.: D’ora in avanti gli articoli riguardanti la saggistica letteraria saranno riportati interamente (tranne quelli che richiedono l’utilizzo di particolari caratteri, tipo quelli greci) e la versione stampabile sarà disponibile solo sull’articolo “sommario” di riferimento, cioè:

«Appunti di Letteratura Italiana: Il Trecento»

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