Zoom
Cerca
Marco M. G. Michelini | 27 Giugno 2015

Nacque a Firenze da una famiglia di umili origini nel 1309. La sua professione ufficiale fu quella di fonditore di campane, oltre che di trombettiere del Comune. Dal 1349 al 1369 fu banditore ed approvatore del Comune fiorentino nel Palazzo del Bargello. Il suo lavoro consisteva nel registrare le cauzioni che i cittadini rilasciavano al Comune e avvisare la popolazione dei provvedimenti presi dal governo: a tale scopo egli aveva a disposizione un cavallo personale nel cortile del Bargello e una tromba d’argento, con i quali si doveva recare in 32 luoghi della città per proclamare le notizie. Questa attività lo pose vicino alla vibrante società fiorentina trecentesca, della quale percepiva le voci e le idee. Tuttavia, negli anni, essa cominciò a risultargli fisicamente faticosa, anche a causa delle urla attraverso le quali doveva diffondere i messaggi. Per tale motivo, dal 1371 al 1382, diventò Guardiano degli Atti della Mercanzia, un incarico che svolse con costanza e competenza, come si evince dalla sua presenza pressoché continua nella copia degli atti mercantili. Non si mosse mai da Firenze: la sua fu dunque una vita tranquilla e modesta, ma nel complesso serena, che si concluse nell’ottobre del 1388.

La sua opera principale fu il Centiloquio, in cui versificò in novantuno canti di cento terzine la Cronica di Giovanni Villani. Ma vanno ricordate anche Le proprietà di Mercato Vecchio, un componimento in terzine sulle usanze popolari fiorentine; La guerra di Pisa, poemetto sulla guerra di Pisa del 1362‑1364; lo Zibaldone, una raccolta di leggende scritta per suo uso privato; e, infine, i cantari cavallereschi: Apollonio di Tiro, Brito di Brettagna, Madonna Lionessa, Gismirante, Reina d’Oriente, ed altri di incerta attribuzione.

Autodidatta versatile, il Pucci scrisse anche numerosi sonetti, alcuni dei quali foggiati sul modello provenzale delle Noie, altri di contenuto autobiografico o moraleggiante. Da tutti, comunque, traspare una concezione della letteratura non solo come strumento di educazione ma anche come mezzo di divertimento, al servizio di un pubblico umile e dai gusti semplici. Il suo moralismo bonario, che riprende i luoghi comuni della saggezza popolare, l’ammicco affabile della caricatura, il suo candido entusiasmo di narratore favoloso, o di commosso memorialista, lo rendono il tramite ideale tra il popolo e la classe dirigente, tanto che la sua funzione può essere avvicinata a quella di un giornalista ufficiale, con intendimenti sostanzialmente conservatori: un giornalista ufficiale che risulta – come ha scritto il Tartaro – sgradevolmente superficiale ed elusivo, se lo si rapporta agli avvenimenti drammatici, ai problemi reali e complessi che la società fiorentina si trovò ad affrontare in quegli anni che vanno dalla dittatura del Duca di Atene al tumulto dei Ciompi.


N.B.: D’ora in avanti gli articoli riguardanti la saggistica letteraria saranno riportati interamente (tranne quelli che richiedono l’utilizzo di particolari caratteri, tipo quelli greci) e la versione stampabile sarà disponibile solo sull’articolo “sommario” di riferimento, cioè:

«Appunti di Letteratura Italiana: Il Trecento»

Lascia un commento. Se vuoi che appaia il tuo avatar, devi registrarti su Gravatar

Devi essere collegato per lasciare un commento.