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Marco Michelini | 8 Giugno 2011

[1] Intellego, Lucili, non emendari me tantum sed transfigurari; nec hoc promitto iam aut spero, nihil in me superesse quod mutandum sit. Quidni multa habeam quae debeant colligi, quae extenuari, quae attolli? Et hoc ipsum argumentum est in melius translati animi, quod vitia sua quae adhuc ignorabat videt; quibusdam aegris gratulatio fit cum ipsi aegros se esse senserunt.

[2] Cuperem itaque tecum communicare tam subitam mutationem mei; tunc amicitiae nostrae certiorem fiduciam habere coepissem, illius verae quam non spes, non timor, non utilitatis suae cura divellit, illius cum qua homines moriuntur, pro qua moriuntur.

[3] Multos tibi dabo qui non amico sed amicitia caruerint: hoc non potest accidere cum animos in societatem honesta cupiendi par voluntas trahit. Quidni non possit? sciunt enim ipsos omnia habere communia, et quidem magis adversa.

[4] Concipere animo non potes quantum momenti afferri mihi singulos dies videam. ‘Mitte’ inquis ‘et nobis ista quae tam efficacia expertus es.’ Ego vero omnia in te cupio transfundere, et in hoc aliquid gaudeo discere, ut doceam; nec me ulla res delectabit, licet sit eximia et salutaris, quam mihi uni sciturus sum. Si cum hac exceptione detur sapientia, ut illam inclusam teneam nec enuntiem, reiciam: nullius boni sine socio iucunda possessio est.

[5] Mittam itaque ipsos tibi libros, et ne multum operae impendas dum passim profutura sectaris, imponam notas, ut ad ipsa protinus quae probo et miror accedas. Plus tamen tibi et viva vox et convictus quam oratio proderit; in rem praesentem venias oportet, primum quia homines amplius oculis quam auribus credunt, deinde quia longum iter est per praecepta, breve et efficax per exempla.  [6] Zenonem Cleanthes non expressisset, si tantummodo audisset: vitae eius interfuit, secreta perspexit, observavit illum, an ex formula sua viveret. Platon et Aristoteles et omnis in diversum itura sapientium turba plus ex moribus quam ex verbis Socratis traxit; Metrodorum et Hermarchum et Polyaenum magnos viros non schola Epicuri sed contubernium fecit. Nec in hoc te accerso tantum, ut proficias, sed ut prosis; plurimum enim alter alteri conferemus.

[7] Interim quoniam diurnam tibi mercedulam debeo, quid me hodie apud Hecatonem delectaverit dicam. ‘Quaeris’ inquit ‘quid profecerim? amicus esse mihi coepi.’ Multum profecit: numquam erit solus. Scito esse hunc amicum omnibus. Vale.

 

 

Lucilio caro, mi rendo conto che non solo mi sto correggendo, ma che addirittura mi trasformo; non che io prometta o speri che non vi sia in me più nulla da cambiare. Come potrei non avere ancora molte cose da raccogliere, da attenuare, da rafforzare? Proprio questa è la prova di un animo che ha fatto progressi: vedere i difetti che prima ignorava; con certi malati ci si congratula quando prendono coscienza del loro male.

Desidererei, pertanto, farti partecipe di questo mio improvviso cambiamento; allora comincerei ad avere una più sicura fiducia nella nostra amicizia, quella vera che né la speranza, né il timore, né la preoccupazione del proprio vantaggio può distruggere, quell’amicizia che dura fino alla morte, e per la quale si è pronti a morire.

Potrei menzionarti molti cui non è mancato l’amico, ma la vera amicizia: questo non può accadere quando un’identica volontà di desiderare il bene induce gli animi ad unirsi. E perché non potrebbe? Perché essi sanno di avere ogni cosa in comune e soprattutto le avversità. Non puoi immaginare quali progressi io mi accorga di compiere giorno per giorno.

Tu dici: «Rendi partecipe anche me di questo metodo che hai trovato così efficace.» Invero io desidero trasfondere in te tutto il mio sapere e sono lieto di imparare qualcosa per questo, per insegnarla. E niente, per quanto sia eccellente e salutare, mi diletterà, se ne avrò conoscenza per me solo. Se mi fosse concessa la sapienza a condizione di tenerla chiusa in me e di non comunicarla ad altri, la rifiuterei: non dà gioia il possesso di alcun bene, se non lo si può condividere con altri.

Ti manderò, dunque, i miei libri e perché tu non faccia troppa fatica a rintracciare qua e là i passi utili, metterò dei segni, affinché tu arrivi subito a ciò che condivido ed ammiro. Tuttavia, più che un discorso scritto, ti sarà utile la mia viva voce e la mia compagnia ; è necessario che tu venga sul posto, primo perché gli uomini credono più ai loro occhi che alle loro orecchie, poi perché il cammino attraverso gli insegnamenti è lungo, mentre attraverso gli esempi è breve ed efficace.

Cleante non avrebbe potuto esprimere compiutamente il pensiero di Zenone se avesse ascoltato solo le sue lezioni:  egli fu partecipe della sua vita, ne penetrò i segreti, osservò se viveva secondo la sua dottrina. Platone, Aristotele e tutta la folla di filosofi, che poi presero strade diverse, impararono più dai costumi di Socrate che dalle sue parole. Non la scuola di Epicuro, ma il vivere con lui rese grandi Metrodoro, Ermarco e Polieno. E non ti faccio venire solo perché ne tragga tu giovamento, ma anche perché tu mi sia utile; infatti, ci aiuteremo moltissimo a vicenda.

Frattanto, poiché ti sono debitore ogni giorno di un piccolo compenso, ti dirò cosa oggi mi è piaciuto in Ecatone. «Chiedi quali progressi abbia fatto?» egli scrive, «Ho cominciato ad essere amico di me stesso.» Ha fatto un grande progresso: non sarà mai solo. Sappi che tutti possono avere questo amico. Stammi bene.

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