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Marco M. G. Michelini | 15 Febbraio 2011

[1] Persevera ut coepisti et quantum potes propera, quo diutius frui emendato animo et composito possis. Frueris quidem etiam dum emendas, etiam dum componis: alia tamen illa voluptas est quae percipitur ex contemplatione mentis ab omni labe purae et splendidae.

[2] Tenes utique memoria quantum senseris gaudium cum praetexta posita sumpsisti virilem togam et in forum deductus es: maius expecta cum puerilem animum deposueris et te in viros philosophia transscripserit. Adhuc enim non pueritia sed, quod est gravius, puerilitas remanet; et hoc quidem peior est, quod auctoritatem habemus senum, vitia puerorum, nec puerorum tantum sed infantum: illi levia, hi falsa formidant, nos utraque.

[3] Profice modo: intelleges quaedam ideo minus timenda quia multum metus afferunt. Nullum malum magnum quod extremum est. Mors ad te venit: timenda erat si tecum esse posset: necesse est aut non perveniat aut transeat.

[4] ‘Difficile est’ inquis ‘animum perducere ad contemptionem animae.’ Non vides quam ex frivolis causis contemnatur? Alius ante amicae fores laqueo pependit, alius se praecipitavit e tecto ne dominum stomachantem diutius audiret, alius ne reduceretur e fuga ferrum adegit in viscera: non putas virtutem hoc effecturam quod efficit nimia formido? Nulli potest secura vita contingere qui de producenda nimis cogitat, qui inter magna bona multos consules numerat.

[5] Hoc cotidie meditare, ut possis aequo animo vitam relinquere, quam multi sic complectuntur et tenent quomodo qui aqua torrente rapiuntur spinas et aspera. Plerique inter mortis metum et vitae tormenta miseri fluctuantur et vivere nolunt, mori nesciunt.

[6] Fac itaque tibi iucundam vitam omnem pro illa sollicitudinem deponendo. Nullum bonum adiuvat habentem nisi ad cuius amissionem praeparatus est animus; nullius autem rei facilior amissio est quam quae desiderari amissa non potest. Ergo adversus haec quae incidere possunt etiam potentissimis adhortare te et indura.

[7] De Pompei capite pupillus et spado tulere sententiam, de Crasso crudelis et insolens Parthus; Gaius Caesar iussit Lepidum Dextro tribuno praebere cervicem, ipse Chaereae praestitit; neminem eo fortuna provexit ut non tantum illi minaretur quantum permiserat. Noli huic tranquillitati confidere: momento mare evertitur; eodem die ubi luserunt navigia sorbentur.

[8] Cogita posse et latronem et hostem admovere iugulo tuo gladium; ut potestas maior absit, nemo non servus habet in te vitae necisque arbitrium. Ita dico: quisquis vitam suam contempsit tuae dominus est. Recognosce exempla eorum qui domesticis insidiis perierunt, aut aperta vi aut dolo: intelleges non pauciores servorum ira cecidisse quam regum. Quid ad te itaque quam potens sit quem times, cum id propter quod times nemo non possit?

[9] At si forte in manus hostium incideris, victor te duci iubebit – eo nempe quo duceris. Quid te ipse decipis et hoc nunc primum quod olim patiebaris intellegis? Ita dico: ex quo natus es, duceris. Haec et eiusmodi versanda in animo sunt si volumus ultimam illam horam placidi exspectare cuius metus omnes alias inquietas facit.

[10] Sed ut finem epistulae imponam, accipe quod mihi hodierno die placuit – et hoc quoque ex alienis hortulis sumptum est: ‘magnae divitiae sunt lege naturae composita paupertas’. Lex autem illa naturae scis quos nobis terminos statuat? Non esurire, non sitire, non algere. Ut famem sitimque depellas non est necesse superbis assidere liminibus nec supercilium grave et contumeliosam etiam humanitatem pati, non est necesse maria temptare nec sequi castra: parabile est quod natura desiderat et appositum.

[11] Ad supervacua sudatur; illa sunt quae togam conterunt, quae nos senescere sub tentorio cogunt, quae in aliena litora impingunt: ad manum est quod sat est. Cui cum paupertate bene convenit dives est. Vale.

 

 

Persevera come hai cominciato e affrettati il più possibile: potrai così godere più a lungo di un animo puro e ordinato. Anzi ne godi già mentre lo purifichi, mentre lo acquieti: ma ben altro è il piacere che si riceve dal contemplare un’anima immacolata e limpida.

Certo ricordi la gioia che hai provato quando sostituisti la pretesta con la toga virile e fosti condotto nel foro: ebbene, attendine una maggiore quando avrai deposto l’animo infantile e la filosofia ti avrà reso uomo. Infatti, fino a quel momento, rimane non la puerizia, bensì , cosa più grave, la puerilità; e ciò è tanto più dannoso, in quanto noi abbiamo l’autorità degli anziani e i difetti dei bambini, anzi non dei bambini, ma dei neonati; i bambini temono le sciocchezze, i neonati le cose inesistenti, noi le une e le altre.

Cerca di progredire: capirai che certe cose sono meno da temere proprio perché fanno molta paura. Nessun male è grande se è l’ultimo. La morte ti viene incontro: dovresti temerla se potesse rimanere con te, ma in realtà o non è ancora arrivata o passa oltre.

«È difficile», dirai, «indurre l’animo a disprezzare la vita.» Ma non ti accorgi per quali futili motivi essa viene disprezzata? Uno si impicca davanti alla porta dell’amica, un altro si butta giù dal tetto per non sentire più le sfuriate del padrone, l’evaso si ficca un pugnale nelle viscere per sfuggire alla cattura: non pensi che si possa compiere per coraggio un’azione che si compie per paura eccessiva? Non può vivere una vita serena chi si preoccupa troppo di prolungarla e annovera tra i grandi beni il vivere a lungo.

Rifletti ogni giorno su queste cose, perché tu possa lasciare serenamente questa vita a cui tanti si avvinghiano e si aggrappano, come chi è trascinato via dalla furia delle acque si aggrappa ai rovi e alle rocce. I più oscillano infelici tra il timore della morte e le angosce della vita, non vogliono vivere e non sanno morire.

Abbandona ogni preoccupazione per la tua esistenza e te la renderai piacevole. Nessun bene giova a chi lo possiede, se non a colui che ha l’animo preparato perderlo; e le cose la cui perdita è più facilmente tollerabile sono quelle che, una volta perdute, non possono essere oggetto di rimpianto. Prepara e fortifica, dunque, il tuo animo contro i casi che possono capitare anche ai più potenti.

Della vita di Pompeo decisero un ragazzino e un eunuco, di quella di Crasso un Parto crudele e arrogante; Gaio Cesare impose a Lepido di porgere il collo al tribuno Destro, ma poi lui stesso porse il suo a Cherea. La sorte non ha mai innalzato nessuno al punto da non ritorcere contro di lui più di quanto gli aveva concesso. Non fidarti della momentanea bonaccia: il mare fa presto ad agitarsi; nello stesso giorno le navi affondano là dove navigavano tranquille.

Pensa che tanto un bandito quanto un nemico possono puntarti un pugnale alla gola; ammesso che tu non tema di uno più potente di te, ogni servo ha su di te potere di vita o di morte. Voglio dire: chiunque disprezzi la propria vita, è padrone della tua. Ricorda gli esempi di coloro che furono uccisi dai propri schiavi, o con aperta violenza o con l’inganno: ti renderai conto che il furore dei servi non ha causato meno vittime dell’ira dei potenti. Che ti importa, dunque, quanto sia potente l’uomo che temi, quando il male che temi te lo può fare chiunque?

Metti il caso che tu cada in mano ai nemici, il vincitore comanderà di condurti proprio là dove stai andando. Perché inganni te stesso e ti rendi conto solo ora di una cosa che da tempo stai subendo? Voglio dire: fin dal momento della nascita sei spinto verso la morte. Su questo e su pensieri del genere dobbiamo meditare, se vogliamo attendere serenamente quell’ultima ora, il cui timore ci rende inquiete tutte le altre.

Ma, per concludere la mia lettera, senti il pensiero che ho scelto oggi – anche questo l’ho colto dal giardino di un altro. «È una grande ricchezza la povertà regolata dalla legge di natura.» Tu conosci i confini che ci ha fissato la legge di natura? Non patire la fame, né la sete, né il freddo. Per vincere la fame e la sete non occorre sedere presso la soglia dei potenti, né sopportare una fastidiosa arroganza e una cortesia affettata, quindi offensiva; non è necessario affrontare i pericoli della navigazione o partire per la guerra: ciò che la natura richiede è facile a procurarsi e a portata di mano.

Invece, ci affanniamo per le cose superflue: ecco cosa logora la toga, cosa ci costringe a invecchiare sotto una tenda e cosa ci spinge in terre straniere, mentre quanto ci basta è a portata di mano. Chi si adatta bene alla povertà è ricco. Stammi bene.

2 Commenti in “L. A. Seneca: Lettere a Lucilio – IV”

  1. Ferdinand Tanious
    17 Novembre 2011 | 21:43

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  2. Morgan Wingrove
    24 Novembre 2011 | 21:05

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