In memoria di Roberto
La squilla annunzia che ’l giorno si muore;
l’armento mugghia e snodasi sul prato;
stanco ritorna a casa l’aratore
ed è ’l mondo alla notte e a me lasciato.
Ormai vien meno ’l raggio vespertino
e l’aere è avvolto in un silenzio arcano:
s’ode ronzare solo ’l maggiolino
e un tintinnio assonnar l’ovil lontano.
E dalla torre d’edera vestita
si duol, col raggio della luna amico,
il gufo, s’altri alla magion romita
s’appressi, a molestar suo regno antico.
A piè degli olmi e all’ombra di quel tasso,
dove s’alzano molte erbose glebe,
dorme per sempre, in loco angusto e basso,
del villaggio la rozza e antica plebe.
L’aria soave allo spuntar del giorno,
il garrir della rondine sul tetto,
del gallo il canto, o ’l risuonar del corno,
più non li desterà nell’umil letto.
Per lor non più arde il fuoco, né una madre
del focolare alle sue cure attende,
né corrono i figlioli in grembo al padre,
facendo a gara a chi più baci prende.
Alla lor falce s’è arreso ’l raccolto,
dure zolle col vomere han domato,
lieti i cavalli per il campo han volto,
co’ rudi colpi lor boschi han piegato!
Dell’opra loro non rida ’l Superbo,
né di lor gioie e loro sorte oscura;
né ’l Ricco ascolti con sorriso acerbo
dei poveri la storia breve e pura.
Quel che per sangue o per poter s’onora,
quanto ricchezza oppur beltà dar possa,
tutto egualmente attende l’ultim’ora:
della gloria ’l sentier guida alla fossa.
Né voi, o Alteri, a lor colpa imputate,
se non orna un trofeo l’ossa sepolte,
se non risuonan d’inni le navate,
se gonfie lodi non riempion le volte.
Può un’urna incisa o un busto al ver conforme
richiamar l’alma a la sua spoglia ignuda?
Può Onore rianimar cener che dorme,
o l’orecchio blandir di Morte cruda?
Giaccion forse in quest’angolo negletto
spirti da ardor divino riscaldati;
Mani che ben lo scettro avrieno retto,
o destato la cetra a carmi alati.
Ma la Dottrina non aprì ’l volume
che ’l tempo di sue spoglie ornò e distinse,
tarpò al bell’estro povertà le piume,
del genio ’l fonte con il gelo strinse.
Molte gemme purissime e lucenti
entro ai suoi cupi abissi ’l mare asconde;
nascon non visti molti fiori e ai venti
spargono ’l lor profumo in erme sponde.
Un Hampden contadino qui, che insorse
e al piccolo tiranno oppose il petto,
o un Milton ignorato, o un Cromwell forse,
giace, del sangue dei fratelli netto.
Destare ’l plauso in un Senato attento,
d’onta e di duolo non temer minaccia,
sparger dovizie, e a un popolo contento
legger la storia di lor vita in faccia,
vietò loro la sorte, che represse
tanto lor colpe che virtù; ad un trono
di giunger tra i massacri non concesse;
e sbarrò ’l passo alla pietà e al perdono;
di celare ’l rimorso al proprio core;
di smorzare ’l pudor nel volto asceso;
di dare a Orgoglio ed a Lussuria onore
d’incenso, al fuoco della Musa acceso.
Lontan da lotte e da contese rie,
non disviarono mai dal retto calle,
seguendo le tranquille e ascose vie
della lor dura vita nella valle.
Pur a difender da villano insulto
quell’ossa, un segno fral ergesi ancora;
d’incolti versi e rozze forme sculto,
che d’un sospiro ’l breve ossequio implora.
I nomi e gli anni la lor Musa, ignara
di dolci carmi e d’elegie, vi segna;
e della Bibbia un motto già prepara,
ch’a morire al villan timido insegna.
Chi mai nel velo fosco dell’oblio
questa affannosa e amabil vita avvolse?
Chi mai lasciando ’l dolce aere natio
il guardo addietro in un sospir non volse?
Posa l’alma, spirando, in grembo fido;
chiede lacrime pie l’occhio morente;
natura anco da tomba alza ’l suo grido;
nel cener pure ’l fuoco antico è ardente.
In quanto a te che, in semplice favella,
narri storia di questi oscuri morti,
se mai spirto a te simile novella
di te vorrà sapere, o di tue sorti,
forse un canuto veglio del villaggio
dirà: «Il vedemmo la mattina in fretta
la rugiada solcare, e ’l primo raggio
incontrare del sol su l’alta vetta.
Sotto a quel faggio che inclina le fronde
e le bizzarre radici attorciglia,
nel meriggio sostava, attento all’onde
del vicino ruscello che bisbiglia.
Fra sé parlando, o con amaro riso,
movea verso quel bosco ’l passo errante,
or pallido per duolo, o mesto in viso,
o pien di cure, o disperato amante.
Ma un dì nol vidi in su l’usato clivo,
né lungo l’erta, o al caro albero appresso;
venne poi l’altro dì, ma accanto al rivo
non lo vid’io, né al prato, o al bosco stesso.
E ’l terzo dì, con lenta fila e tetra,
portar lo vidi al tempio: or t’avvicina
e leggi, tu che ’l sai, scolpito in pietra,
lo scritto, sotto quell’antica spina.»
L’EPITAFFIO
Qui dorme, in seno della terra, il frale
d’un giovane a fortuna e a fama ignoto.
Non ne sprezzò ’l Saper l’umil natale,
Melanconia ne fece un suo devoto.
Fu generoso e franco, e ’l ciel di ciò
ampia mercede gliene diè: al mendico
quanto poté, una lacrima, donò;
ebbe dal ciel (ciò che bramò) un amico.
Or non si cerchi d’evocar quell’opre
onde fu buono, o colpe onde fu rio.
Trepide in speme un denso vel le copre
nel seno del suo Padre, del suo Dio.
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